Ottavo anno di guerra
Il 15 marzo la guerra in Siria entra nel suo ottavo anno. Il nunzio apostolico a Damasco, card. Mario Zenari, in questi giorni in Italia per lanciare, con Avsi, il progetto “Ospedali Aperti”, parla della Siria paragonandola al viandante percosso e derubato dai ladroni che si ritrova nella parabola del Buon Samaritano: “Oggi sul suolo siriano agiscono 5 tra i più potenti eserciti del mondo”. La continua speranza in una fine negoziata del conflitto, anche se 23 risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu non sono bastate a porre fine alla guerra, né a offrire una adeguata assistenza umanitaria alle vittime civili.
“Oggi la Siria è come quel povero viandante che scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo percossero e derubarono, lasciandolo mezzo morto sul ciglio della strada fino a quando non venne soccorso da un samaritano che lo portò ad una locanda perché fosse curato”. Si rifà alla parabola evangelica del Buon Samaritano, il card. Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, per descrivere la situazione del Paese mediorientale scosso da una guerra che proprio in questi giorni entra nel suo 8° anno.
Dal 2009 in Siria, dopo essere stato in Sri Lanka e Costa d’Avorio, Paesi anch’essi segnati da guerre civili, il card. Zenari che si definisce un “nunzio in mimetica”, in questi giorni è in Italia per lanciare il suo progetto “Ospedali Aperti” pensato per dare cure gratuite ai siriani più indigenti. Un’occasione anche per fare il punto sulla guerra. Sembrano lontane le proteste pacifiche iniziate il 15 marzo 2011 e represse duramente dal regime quarantennale della famiglia Assad. Il conflitto armato interno che ne è seguito – con l’ingresso in campo di potenze regionali (Israele, Arabia Saudita, Turchia, Iran e Hezbollah libanesi), e internazionali (Usa e Russia), cui va aggiunta la presenza armata jihadista, qaedista e dello Stato islamico – si è rapidamente trasformato in “una vera e propria guerra per procura” con numeri impietosi cresciuti ogni anno di più. La lotta al terrorismo è stata usata da queste potenze come cavallo di Troia per nascondere le loro mire espansionistiche nella regione.
I numeri del conflitto. La statistiche si aggiornano con la stessa velocità con cui colpiscono razzi, missili e bombe lanciate dalle parti in lotta. I numeri forniti da Caritas Italiana, in prima linea nel portare aiuto ai siriani, parlano di
“oltre 500mila morti. I feriti e i mutilati circa il doppio”.
Solo nel 2017 il numero dei civili morti in Siria a causa dei bombardamenti è quadruplicato rispetto all’anno precedente. Milioni gli sfollati nei Paesi confinanti (Libano, Giordania e Turchia) e i profughi interni. Secondo un report Onu esaminato il 13 marzo a Ginevra, dall’inizio della guerra sono stati uccisi 27mila bambini, 1,5 milioni non ha più frequentato una scuola e su 5,6 milioni di persone in gravi necessità 663.000 sono sotto i cinque anni. Il dossier “2018 humanitarian needs Overwiev” stilato dall’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari parla di 13,1 milioni di siriani con bisogno urgente di assistenza umanitaria; 6,5 milioni quelli a rischio malnutrizione; 6.550 nuovi sfollati in media al giorno (più 20% rispetto al 2016); 1 scuola su 3 distrutta; 20% in più di attacchi a strutture sanitarie (rispetto al 2016); meno del 50% dei servizi sanitari pienamente operativi; 8,2 milioni i siriani esposti a rischio aree minate (33% delle quali in terre destinate all’agricoltura). Insomma, non è bastato ammainare la bandiera nera del Califfo, nemico eletto delle potenze in campo, per porre fine alla carneficina che continua in varie zone del Paese. Si combatte anche dove non si dovrebbe, vale a dire nelle cosiddette “de-escalation zone”, le quattro zone -cuscinetto della Siria stabilite da Russia, Turchia e Iran nei colloqui (di pace) ad Astana di metà 2017: Idlib, Ghuta, Homs settentrionale e Dara’a. Guerra anche nell’enclave curda di Afrin.
Sull’orlo del baratro. All’inizio dell’ottavo anno di guerra, è la denuncia del card. Zenari, “siamo davanti ad un rischio di escalation regionale e internazionale.
Sul suolo siriano agiscono 5 tra i più potenti eserciti del mondo,
non ancora in guerra tra loro, ma se si dovessero pestare i piedi non si sa cosa potrebbe accadere. I cieli siriani sono solcati dal sibilo dei mortai che sentiamo proprio sopra le nostre teste, dei cacciabombardieri siriani, russi, israeliani, di quelli della coalizione di 60 Paesi a guida Usa, dei missili lanciati dal Mediterraneo e dal Mar Caspio”.
Ma “i disastri che non si vedono sono”, per il nunzio, “ben più gravi di quelli che si vedono. I palazzi, le strutture, una volta finita la guerra, non si sa quando, verranno rimessi in piedi in breve tempo. Ma il tessuto sociale che è stato intaccato, le ferite profonde, i traumi fisici e psicologici nell’animo della popolazione e soprattutto delle decine di migliaia di bambini colpiti come verranno curati?”.
Una domanda destinata, probabilmente, a restare senza risposta in quell’“inferno sulla terra” che è la Siria di oggi, tanto per usare una citazione del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres.
“Stiamo assistendo ad una strage degli innocenti”
rimarca con forza il card. Zenari che riprende la parabola del Buon Samaritano anche per dare una prospettiva di speranza:
“Non sta a me dire chi sono i ladroni che hanno aggredito la Siria massacrandola e lasciandola sul ciglio della strada. Oggi in questo Paese segnato da una indicibile sofferenza ci sono che i buoni Samaritani, come le Chiese, le Ong, le organizzazioni umanitarie che cercano di aiutare tutta la popolazione, quando non vengono fatti oggetti di attacchi. Perché in Siria si spara anche sul buon samaritano.
La comunità internazionale ascolti il grido della popolazione e dei bambini per arrivare presto a una soluzione negoziata”.