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Reddito di cittadinanza e welfare. Rossini (Alleanza contro la povertà): “Richiesta di sicurezza sociale e di semplificazione”

“Rispetto agli stanziamenti previsti di qui al 2020 mancano oltre 4 miliardi di euro, un obiettivo a cui si può arrivare gradualmente, con un piano pluriennale compatibile con le esigenze del debito pubblico”, afferma il portavoce dell’Alleanza contro la povertà e presidente delle Acli a proposito del Rei

A prescindere dalle notizie sui Caf che sarebbero stati presi d’assalto da persone che chiedevano il reddito di cittadinanza sulla scorta dei risultati elettorali del M5S (fake news o episodi isolati?), gli analisti avevano già messo in evidenza la straordinaria presa elettorale della proposta del reddito di cittadinanza, specialmente nelle regioni meridionali. “E’ un dato che va letto in termini di richiesta di sicurezza sociale e di semplificazione – sostiene Roberto Rossini, portavoce dell’Alleanza contro la povertà oltre che presidente delle Acli – e che merita una riflessione approfondita. Sarebbe necessario finalmente un grande dibattito pubblico su come immaginiamo il futuro del welfare, al di là della campagna elettorale”.

Roberto Rossini

Intanto però esiste già il Rei, il Reddito d’inclusione.
Per certi versi il Rei potrebbe rappresentare il primo gradino di questo discorso. Va nella direzione di garantire un livello minimo di sicurezza, non ancora la necessaria semplificazione, che pure come Alleanza abbiamo chiesto più volte. Il nostro welfare prevede tante misure che spesso si sovrappongono e finiscono per disorientare i cittadini.

La filosofia di fondo è la stessa o ci sono delle differenze?
L’identità del Rei è chiara. E’ una risposta al problema della povertà che si articola in un contributo economico e in un progetto d’inclusione attraverso la presa in carico da parte dei servizi di welfare locale. Un progetto che prevede, tra l’altro, l’impegno alla ricerca attiva del lavoro e alla formazione.

Il reddito di cittadinanza è rivolto a una platea più vasta, non solo i poveri ma anche gli inattivi.

Bisogna capire bene per poter dare una valutazione precisa. Anche il contesto è importante. E’ una misura che si aggiunge alle altre o le sostituisce? Che fine farebbero le altre misure che il welfare già comprende? Penso, solo a titolo di esempio ai trattamenti d’invalidità.

Come sta procedendo l’attuazione del Rei, che è partita all’inizio dell’anno?
Mi sembra che dal punto di vista della cultura degli operatori ci sia stato uno scatto molto importante: sta cambiando l’atteggiamento nei confronti della povertà. Anche la diffusione delle informazioni mi pare che sia stata buona. Ci vorrà ancora qualche mese per avere dei numeri significativi. Però intendiamoci: per valutare seriamente gli effetti di interventi di questa portata occorrono sette-otto anni, non sei mesi.

Ma i tempi della politica, oggi, sono ben altri…
Proprio per questo, prima delle elezioni, come Alleanza abbiamo proposto a tutti i partiti un “lodo Rei”, per chiedere che non si tornasse indietro rispetto al cammino intrapreso, indipendentemente dall’esito del voto e da chi sarebbe andato al governo. La tentazione da evitare è quella della “riforma della riforma”.

Il Rei è uno strumento flessibile, che consente aggiustamenti e miglioramenti, ma un conto è lavorare per attuare una riforma correggendola via via dove apparisse necessario, un conto è ripartire ogni volta da zero.

Il documento ricorda che la storia del welfare italiano è piena di esempi di esecutivi a tutti i livelli, nazionali e locali, che una volta insediati hanno modificato profondamente le norme varate dai loro predecessori al solo scopo di trasmettere un messaggio di discontinuità e con il solo risultato di rendere più difficile la fruizione da parte dei cittadini degli interventi necessari.

Al nuovo governo, quando ci sarà, che cosa chiederete, in particolare?
Il Rei ha bisogno di essere rafforzato economicamente per raggiungere tutte le persone in situazione di povertà assoluta. Così com’è, può arrivare a poco più della metà dei 4,75 milioni di poveri stimati dall’Istat. E’ necessario anche adeguare l’importo del contributo economico. Rispetto agli stanziamenti previsti di qui al 2020 mancano oltre 4 miliardi di euro, un obiettivo a cui si può arrivare gradualmente, con un piano pluriennale compatibile con le esigenze del debito pubblico.