Ragazzi fuori famiglia

Care leavers. In Italia circa 3mila l’anno. Accompagnarli verso l’autonomia coinvolgendoli e rendendoli protagonisti

Un report internazionale, frutto dell’impegno di Sos Children’s Villages con il London University College di Londra e di 11 Paesi, approda al Palazzo di Vetro di New York. I risultati del dossier sull’Italia: un fondo sperimentale destinato a 500 ragazzi e ragazze in uscita dall’accoglienza, una legge regionale in Sardegna e diverse best practice sul territorio. Parola d’ordine: ascolto, coinvolgimento e protagonismo dei neomaggiorenni

“Diciott’anni anni è troppo presto per cavarsela da soli…”. E’ la convinzione unanime dei circa 3 mila ragazzi fuori famiglia che ogni anno in Italia, raggiunta la maggiore età, devono rinunciare alla cura e alla protezione delle comunità che per anni li hanno accolti e avviarsi, privi di tutele, verso un percorso di autonomia economica e lavorativa. Un paradosso tutto italiano, specchio, ancora una volta, di un Paese a due velocità: da un lato giovani che rimangono a casa ben oltre i 30 anni, dall’altro neomaggiorenni, segnati da vissuti personali spesso drammatici, scaraventati in una transizione forzata e repentina verso l’età adulta.

A scattare la fotografia di questa realtà di cui si parla troppo poco è il report “Una risposta ai care leavers: occupabilità e accesso ad un lavoro dignitoso”, approfondimento italiano degli esiti dello studio internazionale “Decent work and social protection for young people leaving care” che Sos Children’s Villages International ha realizzato in due anni di ricerca in 11 paesi (Capo Verde, Cile, Croazia, Ecuador, Italia, Kyrgyzstan, Kosovo, Messico, Togo, Tunisia, Zimbabwe) con il coordinamento scientifico del London University College (Ucl), presentato oggi presso la sede delle Nazioni Unite a New York.

Nella stesura del report italiano, curato da Sos Villaggi dei Bambini Italia, è stata direttamente coinvolta una decina di giovani care leavers. Ed è proprio grazie alla costante azione di advocacy dell’associazione che il 27 novembre 2017 il governo italiano ha stanziato un fondo sperimentale di 15 milioni di euro per coprire i bisogni legati all’avvio verso l’autonomia di circa 500 ragazzi e ragazze in uscita da percorsi di accoglienza per il triennio 2018-2020. “Un primo traguardo, ma solo un piccolo passo rispetto alle tante difficoltà che affrontano i care leavers”, commenta Samantha Tedesco, responsabile dell’Area programmi e advocacy dell’associazione e membro esperto dell’Osservatorio nazionale italiano sull’infanzia e l’adolescenza.

Povertà ed esclusione sociale e lavorativa sono i principali rischi cui sono esposti questi ragazzi in mancanza di una normativa che permetta di accompagnarli con percorsi mirati e di un sistema omogeneo di raccolta dati che consenta un monitoraggio periodico delle loro condizioni una volta usciti dalla rete dell’accoglienza. Dice Fabio, 21 anni, di Trento:

“Hai una specie di ultimatum… Il tuo progetto a 18 anni finisce ed è lì il problema!”.

I giovani intervistati dal report riferiscono dispersione scolastica, difficoltà nell’accesso all’università, difficoltà di adattamento alla vita fuori dal contesto di accoglienza, mancanza di un tutor di riferimento che li supporti, difficoltà nel trovare alloggi economicamente sostenibili, scarsa dimestichezza nella gestione della casa e delle proprie finanze, scarsità di servizi di supporto offerti dalle istituzioni, difficoltà nell’accedere ad assistenza sanitaria e psicologica gratuita. “È difficile affrontare da soli i problemi della vita quotidiana”, osserva una diciannovenne di Vicenza mentre Matteo, 19 anni, di Padova, riconosce la difficoltà di coltivare amicizie: “Se non ho la disponibilità economica di farmi una spesa decente come posso uscire, anche fossero due volte al mese, per un aperitivo?”.

Per fortuna, rivela il report, non mancano progettualità e buone pratiche. Si tratta per lo più di progetti gestiti dai servizi del privato sociale in collaborazione con gli enti locali, in alcuni casi sostenuti dalle Regioni con un’eccezione: quella della Regione Sardegna, unica in Italia ad aver introdotto una legge regionale specifica per i neomaggiorenni dimessi dai servizi di accoglienza residenziale (L.r.4/2006) che prevede un programma di accompagnamento nel passaggio dal contesto protetto all’autonomia e nel completamento del percorso formativo. E’ “Prendere il volo” , interamente finanziato dalla Regione Sardegna e rivolto a giovani dai 18 ai 25 anni per i quali prevede la definizione di un progetto personalizzato della durata massima di tre anni. Nel 2010 è nata l’Associazione “Agevolando”, la prima fondata da giovani che hanno vissuto questa esperienza (oggi 150 soci) e che nel 2014 ha creato il primo Care Leavers network in Emilia Romagna.

Quali le possibili azioni di accompagnamento? Per Federico Zullo, presidente di Agevolando, occorre “avere un’attenzione ben prima dell’uscita”:

bisogna pensare alla dimissione e “costruirla” fin dal primo giorno di accoglienza, ma questo va fatto coinvolgendo i ragazzi “per restituire loro responsabilità”,

aggiunge Liviana Marelli, direttrice della cooperativa “La grande Casa”. Gli esperti sono concordi: è utile offrire ai ragazzi e alle ragazze opportunità di lavoro regolare durante l’accoglienza; poter mantenere anche una volta fuori le relazioni con alcuni adulti significativi; garantire forme di sostegno economico nella fase di transizione dall’accoglienza alla vita indipendente; promuovere il coinvolgimento ed il protagonismo dei giovani care leavers; incentivare e sostenere reti sociali esterne alla realtà di accoglienza; sensibilizzare la cittadinanza e i coetanei; facilitare e sostenere l’ingresso dei giovani care leavers nel mondo del lavoro prevedendo forme di sgravio fiscale e contributivo per le aziende che li assumono e promuovendo percorsi di occupabilità. Misure specifiche che per Samantha Tedesco devono essere “parte integrante delle politiche di welfare nel nostro Paese”.