Politica
Può sembrare un gioco di parole, ma se si vuole fare un passo avanti, tutti debbono fare un passo indietro. Visto che le elezioni non hanno consegnato un vincitore assoluto, ma due mezzi vincitori, è bene che tutti rivedano le loro iniziali pretese, dichiarando di essere disposti a rinunciare sia alla poltrona di Capo del governo che a tutte quelle promesse chiaramente irrealizzabili perché incompatibili con la situazione del Paese
La prima tornata di consultazioni, per la formazione del governo, si è risolta con il classico “nulla di fatto”. Fumata nera. “È indispensabile -ha detto il presidente Mattarella – che vi siano delle intese tra più parti politiche per poter far nascere e sostenere un governo; e nelle consultazioni di questi due giorni, non è ancora emersa questa condizione”. Ecco il perché di un secondo giro da svolgersi in questa settimana, con la previsione di dovere ricorrere a una terza e anche a una quarta tornata. D’altra parte, tutto era nelle previsioni fin dai primi giorni della campagna elettorale. Con questa legge e con partiti divisi tra loro, si ripeteva continuamente, si rischia di andare incontro a un lungo periodo di ingovernabilità. E le previsioni si sono avverate. Cosicché gli interrogativi sul futuro del nostro Paese, posti all’indomani delle elezioni, non solo continuano a rimanere senza risposta, ma ad essi se ne aggiungono altri. Se nessuno ha vinto, si continua a ripetere, la soluzione deve venire necessariamente da accordi anche fra forze politiche un tempo antagoniste. Si ha, tuttavia, l’impressione che si stia svolgendo tutto comodamente, senza fretta. Il Paese, d’altra parte, va avanti ugualmente. Il governo Gentiloni, bocciato dagli elettori, sta assicurando l’ordinaria amministrazione e i cittadini, da parte loro, continuano a vivere, fra un sacrificio e l’altro, la loro quotidianità. Al punto che a chi è abituato ad affrontare, con o senza un governo, le difficoltà di ogni giorno, viene difficile spiegare i tatticismi delle forze politiche, anche quelli di chi dichiarava un tempo di essere estraneo ai giochetti della politica. Concedendo la fiducia a due forze antisistema – Cinque stelle e Lega – i cittadini pensavano di essersi lasciati alle spalle i riti della vecchia politica. E invece si accorgono che le nuove leve stanno praticando le stesse liturgie dei politici della tanto odiata Prima Repubblica, senza possederne le abilità, lo spessore e le competenze. Si arriva a praticare anche la tecnica del “divide et impera” (dividi e domina).
La strategia fin qui ostentata da Di Maio è stata esattamente questa: “con Salvini sì, con Berlusconi no; con il Pd sì, con Renzi no”. Accantonata, almeno per il momento, l’ipotesi di un governo Lega-Cinque stelle, con Forza Italia e Partito democratico all’opposizione, il secondo giro si apre con talune variazioni tattiche che ribaltano gli scenari del primo giro. Dopo avere partecipato separatamente alle prime consultazioni, ora i tre partiti del centro destra – F.I., Lega e Fratelli d’Italia – per ostentare la loro forza, si presentano uniti al presidente della Repubblica. Di rimando, per inviare un messaggio intimidatorio a Salvini, Luigi Di Maio, dopo una campagna elettorale all’insegna degli insulti a Renzi e compagni, dichiara di essere pronto ad aprire a tutto il Partito democratico, Renzi compreso. Un esempio di “trasformismo” e di pratica “dei due forni” insieme.
Vero che la politica è l’arte del possibile, purché non sconfini nella scorrettezza e nell’opportunismo. Che, peraltro, mal si concilia con il perseguimento del bene comune. Passare dal rifiuto a trattare con chicchessia, all’essere disposti a parlare con tutti, costituisce sicuramente un passo avanti; speculare sulle divisioni o sulle debolezze degli altri, pur di conquistare il potere, è deplorevole. I governi si formano sulla base di accordi programmatici e non sulle rovine altrui. Con questa volubilità delle posizioni e dei comportamenti, quali previsioni si possono fare? Può sembrare un gioco di parole, ma se si vuole fare un passo avanti, tutti debbono fare un passo indietro. Visto che le elezioni non hanno consegnato un vincitore assoluto, ma due mezzi vincitori, è bene che tutti rivedano le loro iniziali pretese, dichiarando di essere disposti a rinunciare sia alla poltrona di Capo del governo che a tutte quelle promesse chiaramente irrealizzabili perché incompatibili con la situazione del Paese. Perfino chi ha perduto deve fare un passo indietro, perché tutti hanno il dovere, nell’interesse del Paese, di dare una mano alla soluzione della crisi. Se si continua a mostrare i muscoli, le elezioni saranno la soluzione obbligata.
(*) direttore “La Vita diocesana” (Noto)