Udienze generali
Recuperare la “dimensione familiare” della liturgia. È l’invito di don Gianni Cavagnoli sulla scorta del ciclo di catechesi dedicate dal Papa alla messa. No all'”intimismo”, sì al sentirsi “a casa” passando dall’io al noi
“Un invito a non aver paura della messa”. Così don Gianni Cavagnoli, parroco a Cremona e direttore della “Rivista liturgica” delle Edizioni Camaldoli, definisce il ciclo delle udienze del mercoledì dedicate dal Papa a questo tema. Nella liturgia eucaristica, “ognuno dovrebbe sentirsi sempre più a casa”, la proposta: “Bisogna recuperare la dimensione familiare della liturgia, che ti mette a tuo agio. Rendere familiare quello che viene celebrato, nelle modalità e nelle condizioni di ciascuno, ma sempre attorno a Gesù Cristo come fattore decisivo”.
Quindici catechesi in cinque mesi dedicate alla messa: come giudica la scelta del Papa?
Una scelta indovinata, nel merito e nel metodo. Papa Francesco ha seguito il metodo suggerito dalla stessa costituzione Sacrosanctum Concilium, al n. 48: fino ad allora le catechesi sull’Eucaristia, anche nei catechismi, si facevano attraverso la teologia. Con Papa Francesco, sulla scia del Concilio, si parte da come l’Eucaristia viene celebrata e, sacrificando alcune questioni più controverse a livello teologico, attraverso un linguaggio accessibile a tutti si considera la liturgia come un’esperienza, come qualcosa da fare. E partire dall’esperienza è il cuore dell’insegnamento catechistico.
La messa è preghiera e la preghiera è anzitutto silenzio, ha sottolineato il Papa: è il silenzio il vero e unico antidoto alla “spettacolarizzazione” della messa?
Questo è un grosso problema: riempire il tempo dell’Eucaristia, favorendo la partecipazione dei fedeli. Se, invece, la partecipazione si riduce al chiacchiericcio, al cantare o al vociare, non si rispetta il mistero. Il Papa ha scelto di indicare la strada del
silenzio in senso attivo, inteso ciò non solo come non parlare, ma come entrare nella ritualità facendola parlare.
Se sovrapponiamo altre preoccupazioni, non si arriva mai a comprendere la liturgia, ad assumerla, a farla propria.
La Messa è “in diretta”, e viene prima della lettura del giornale, un’altra suggestione del Papa: la centralità della Parola e la brevità delle omelie sono accuratamente valorizzate nelle nostre celebrazioni?
L’omiletica è senz’altro un capitolo importante. L’attenzione del sacerdote deve essere finalizzata a non esagerare nel parlato, perché assecondare questa tendenza alla verbosità, alla lunghezza dell’omelia significa non lasciare spazio alla riflessione.
Nell’omelia la riflessione orale deve mirare a suscitare una riflessione orante: la prima attualizzazione della liturgia della Parola consiste nel lasciare spazio a Dio e alla sua azione.
La messa non finisce, anzi è proprio quando termina che deve mescolarsi con la vita, il tema dell’ultima catechesi di Francesco: quali sono le “scelte eucaristiche” che maggiormente qualificano la vita del cristiano?
Oggi la realtà più qualificante è data dalla Parola: ciò che tiene insieme la medesima Eucaristia, che la ritrae, è la differenza della Parola che viene proclamata. Questo, ad esempio, è il tempo pasquale, e la prospettiva della celebrazione è data dai brani che si ascoltano durante la messa. È il ritmo dell’anno liturgico: la grande prospettiva che ha dato il Lezionario, e che prima non esisteva.
Il cambiamento della nostra vita è dato dal ritmo della Parola così come viene scandito nell’anno liturgico.
Nelle sue catechesi il Papa ha sottolineato l’importanza non solo della preghiera personale, ma anche di quella comunitaria, dando precise istruzioni su come formularle: nelle nostre comunità manca di più l’io o il noi?
Decisamente il noi.
Stiamo ritornando all’intimismo: ciascuno ha i suoi problemi, e sintonizzarsi con quelli degli altri non è facile oggi.
La liturgia è invece una grande scuola di comunità e comunitarietà. Pensiamo alla preghiera, in particolare alla preghiera dei Salmi: una loro reinterpretazione alla luce di Gesù Cristo è ancora da fare. I salmi trasudano di vita, sono un condensato della vita di ciascuno di noi: poterli rivedere alla luce di Cristo è la risposta cristiana alla salmodia. Questo vale anche per la preghiera: ciascuno prega in Lui, con Lui e per Lui, ci dice sant’Agostino.
I bambini e il segno della croce: un tema trattato più volte da Francesco, e non solo in queste catechesi: c’è un deficit di alfabetizzazione, nelle nostre parrocchie, a livello dell’“abc” della fede?
Sì. Un tempo le parrocchie supportavano la scuola materna, perché soprattutto in certe regioni – e in alcune ancora adesso, come in Emilia Romagna – le scuole erano anche scuole parrocchiali. Ci stava l’educazione religiosa alle feste e ai gesti cristiani.
Oggi, invece, questioni come il Crocifisso nelle aule o il modo di celebrare il Natale sono diventate solo oggetto di polemiche. Abbiamo dimenticato il compito educativo che deriva dalla fede e dalla peculiarità di appartenere ad un Paese come l’Italia, che ha nella tradizione cattolica un caposaldo della sua identità.
È vero che il termine “cattolico” significa “universale”, ma c’è anche un’identità nostra che non possiamo buttare via. Pensiamo all’insistenza del Papa sul ruolo dei nonni e sulla loro valenza irrinunciabile per i nipoti: la fede in Italia si è mantenuta integra fino ad oggi perché è stata trasmessa da persona a persona alle generazioni successive. Passando dalla testimonianza, non dai libri: è la tradizione popolare. Non è un caso che nella catechesi attuale si mira essenzialmente ad alcuni elementi fondamentali. Come il Papa ci esorta a fare, bisogna ricominciare dalle basi, dagli elementi basilari della nostra fede che oggi non si possono più dare per scontati, a causa dei cambiamenti avvenuti sia in famiglia, sia nella scuola.