Convegno

Caritas. Card. Montenegro e mons. Soddu: “Guardare ai giovani è necessità di vita”

Il tema dei giovani è stato al centro del 40° Convegno nazionale delle Caritas diocesane che ha riunito dal 16 al 19 aprile ad Abano Terme (Padova) oltre 600 direttori e operatori di 220 Caritas diocesane. Il bilancio del cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e presidente di Caritas italiana e di mons. Francesco Soddu, direttore di Caritas italiana

No al “vecchiume” nell’esercizio della carità, sì alla creatività giovane che ispira sempre nuove azioni ed iniziative. L’“essere vecchi” non è da intendere solo in senso anagrafico quanto piuttosto come mancanza di stimoli, idee, innovazione, intraprendenza. Perciò è importante camminare al fianco dei giovani e dare loro fiducia. È un ritornello espresso più volte durante la quattro giorni di Convegno nazionale delle Caritas diocesane, giunto alla 40ma edizione, che quest’anno si è svolto ad Abano Terme (Padova), intitolato “Giovane è…una comunità che condivide”. Un tema molto sentito, anche in vista del Sinodo dei giovani che Papa Francesco ha indetto per il prossimo mese di ottobre. Senza però rinnegare il passato, la memoria: la Caritas cammina da 40 anni e ricorda l’azione ispiratrice del suo fondatore e primo direttore mons. Giovanni Nervo e del suo successore mons. Giuseppe Pasini, scomparsi pochi anni fa. A tracciare le conclusioni nella giornata finale del convegno sono il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e presidente di Caritas italiana e mons. Francesco Soddu, direttore di Caritas italiana.

Card. Montenegro, al convegno vi siete messi alla scuola dei giovani. Cosa avete scoperto?

Finora abbiamo visto i giovani come coloro che bisogna riempire di buone idee e a cui far fare buone azioni. Credo che lo Spirito lavori anche nel cuore dei giovani, che sono già una novità, in una Chiesa che tende a restare seduta, ad essere vecchia. Chiedere ai giovani, come fa il Papa, maggiore protagonismo, diventa la speranza. Il giovane non è colui che devo portare per mano ma è lui che deve prendere me per mano, perché i sentieri nuovi io non li conosco. Il giovane è intraprendente, sa anche perdere, mentre l’adulto vuole sempre vincere. Il giovane è capace di girare pagina e ricominciare da capo.

Papa Francesco ci sta chiedendo una Chiesa giovane. Dobbiamo guardare a loro non per fare una buona azione ma per una necessità di vita.

Anche perché i giovani sono particolarmente attratti dal volontariato, dal servizio ai più deboli…

La carità è il campo speciale della creatività. Guardare il bisogno dell’altro e dare una risposta obbliga a rimanere sempre attenti.

I giovani sono anche capaci di pensare, stanno prendendo in mano le redini. Purtroppo è un mondo compromesso, offeso e anche ferito. Da loro pretendiamo che facciano le cose e non sbaglino mai, mentre noi ci possiamo permettere il lusso di sbagliare. Questo mondo pieno di compromessi, dove la lealtà non è al primo posto, dove il prepotente vince, dove c’è un nord e un sud, è stato fatto dagli adulti. Alcuni giovani cadono nel trabocchetto, altri non vogliono cadere e fanno proposte nuove.

Oggi quali sono le priorità su cui impegnarsi?

Ora stiamo tornando alle vecchie povertà, in un mondo in cui la forbice si allarga sempre di più, con pochi ricchi che hanno in mano tutti i beni del resto della popolazione. Viviamo nella globalizzazione che avrebbe dovuto far diventare il mondo un villaggio globale. Invece ci si sta approfittando del più debole per poter diventare più forte. E’ un mondo che sta girando male, allora c’è bisogno di qualcuno che dia il giro e la velocità giusta. Questo lo può fare il giovane perché ha ancora gli occhi e il cuore pulito. Potrebbe riuscirci.

Il giovane dovrebbe essere capace di indignarsi.

Davanti ad un mondo così bisogna indignarsi. Non è più possibile che se un uomo vuole vivere deve rischiare la vita come un immigrato e annegare insieme alla sua speranza. Ogni uomo ha la sua dignità. I giovani hanno tante carte in regola per poter mettere dei paletti nuovi e aiutare questo mondo a non scricchiolare più.

Mons. Soddu, cosa si intende per “Chiesa giovane”?

Essere giovani nella Chiesa e nella società non è sinonimo di età anagrafica ma intende una gioventù esistenziale, riproporre il messaggio evangelico ai giovani ed evitare la dispersione. 

La Chiesa deve tenere sempre alta la guardia, per liberarsi di un “vecchiume” che è sempre in agguato.

Vuol dire la capacità di liberarsi di vecchi stili e modi di fare che appartengono al passato, saper cogliere la novità e l’azzardo, per essere capaci di scuotere il mondo attraverso lo scandalo e la novità del Vangelo. Vuol dire essere al passo con i tempi, dare risposte che sappiano cogliere le nuove povertà facendo un cammino insieme, condividendo la strada con i giovani, facendo nostre le loro lotte e speranze.

Si tratta di cogliere modelli lavorativi nuovi che non si fondano sul passato, all’interno di un cambiamento epocale pieno di interrogativi.

Quali sono i problemi dei giovani che vi preoccupano di più?

La povertà di relazioni. Oggi i giovani hanno in mano degli strumenti tecnologici e dei mezzi di comunicazione che ne stanno modificando il Dna.  Molti sono sono chiusi in una realtà che non esiste e che li isola dal mondo.

In Italia è anche in atto “una fuga di cervelli” giovani, come contrastarla?

Ci sono diverse ragioni che ripropongono modelli vecchi, triti e ritriti, che non sono capaci di creare nuova economia, soprattutto nelle regioni del Sud. In Sardegna, ad esempio, non si riesce ad inventare qualcosa che colga gli aspetti positivi di una civiltà unica per generare invece percorsi virtuosi a livello economico. Questo produce avvilimento, si rimani fermi nel “vecchiume”.

Bisogna invece dare fiducia ai giovani, investire sulle loro idee, creare lavoro buono e bello, lottando con loro affinché qualcosa cambi.