Rapporto "I dannati della terra"
I grandi ghetti di lavoratori migranti nella Piana di Gioia Tauro rappresentano “uno scandalo italiano dimenticato dalla politica”: è la denuncia dell’organizzazione umanitaria Medici per i diritti umani (Medu) nel rapporto “I dannati della terra”, presentato oggi a Roma.
Almeno 3.500 persone, dopo essersi spezzati la schiena per ore nella raccolta di agrumi e kiwi nella Piana di Gioia Tauro, vivono ancora in tendopoli, in capannoni o vecchi casali abbandonati tra cumuli di immondizia, bagni fatiscenti, materassi in terra o su vecchie reti, tra l’odore nauseabondo di plastica e rifiuti bruciati, senza acqua potabile, a volte senza luce. A distanza di otto anni dai drammatici fatti di Rosarno la situazione dei lavoratori migranti stagionali, nonostante numerosi impegni sulla carta da parte delle istituzioni, “non si è ancora tradotta in azioni concrete in grado di porre limiti al degrado e allo sfruttamento”. E quando ci sono interventi istituzionali “restano frammentari, parziali e inefficaci”. A denunciare, per il quinto anno consecutivo, le “vergognose condizioni di vita e lavoro” dei braccianti stranieri nella Piana di Gioia Tauro, in Calabria, è l’organizzazione umanitaria Medici per i diritti umani (Medu) nel rapporto “I dannati della terra”, presentato oggi a Roma. Medu è presente sul posto con una clinica mobile, che in cinque mesi di attività ha prestato assistenza a 484 persone, giovani lavoratori con permesso di soggiorno nel 90% dei casi, provenienti da Mali, Senegal, Gambia, Guinea Conakry e Costa D’Avorio.
Sfruttamento, degrado abitativo e pratiche illecite. “Condizioni lavorative di sfruttamento o caratterizzate da pratiche illecite e situazioni abitative di degrado e marginalizzazione continuano a rappresentare i caratteri dominanti, in un contesto dove poco è cambiato rispetto agli anni passati”, denuncia il rapporto. La maggioranza dei braccianti stranieri continua a vivere nella zona industriale di San Ferdinando, vicino Rosarno, nella vecchia tendopoli (il 60%), in un capannone adiacente o in una vecchia fabbrica. Lo scorso mese di agosto è stata allestita una nuova tendopoli con 500 posti, la terza in ordine di tempo, ma secondo Medu “dal punto di vista numerico, logistico e dei servizi offerti” si tratta “ancora una volta di una soluzione di carattere puramente emergenziale, che confina le persone in una zona isolata e lontana da qualsiasi possibilità di integrazione e inserimento sociale”.
Il degrado abitativo è aggravato dai frequenti roghi: nell’ultimo, il 27 gennaio scorso, è morta una ragazza nigeriana, Becky Moses,
e circa 600 persone sono rimaste senza alloggio. Tra i 3.500 lavoratori vi sono anche un centinaio di donne provenienti dalla Nigeria, quasi certamente vittime di tratta a scopo di prostituzione.
Dal punto di vista sanitario i braccianti stranieri si ammalano facilmente a causa delle precarie condizioni di vita: i medici dell’organizzazione umanitaria hanno riscontrato patologie respiratorie nel 22,06% dei pazienti, disturbi dell’apparato digerente (19,12%) o osteoarticolari (21,43%), queste ultime a causa dell’intensa attività lavorativa. Senza contare che molti di loro portano ancora sul corpo i segni delle torture fisiche subite nei centri in Libia o disturbi di natura psicologica. La metà dei pazienti risulta iscritta al Servizio sanitario nazionale ma molti non sanno nemmeno di avere diritto ad un medico di base, né a cosa serva la tessera sanitaria.
Lavoro: circa il 28% ha un contratto regolare. Rispetto agli anni passati è un po’ aumentata la percentuale di lavoratori con regolare contratto di lavoro: il 27,82% contro il 21% della stagione 2016-2017 (era l’11% nel 2014-2015).
Tuttavia, “nella quasi totalità dei casi il possesso della lettera di assunzione o di un contratto non si accompagna al rilascio della busta paga, alla denuncia corretta delle giornate lavorate”
o alla possibilità di accesso alla disoccupazione agricola. Secondo Medu questi dati denotano ancora “condizioni lavorative di sfruttamento o caratterizzate dal mancato rispetto dei diritti e delle tutele fondamentali”. Negli ultimi anni, osserva il rapporto, vi sono state numerose dichiarazioni d’impegno e protocolli firmati da parte delle istituzioni nazionali e locali, con la nomina governativa di un Commissario straordinario per l’area di San Ferdinando. Un “impegno sulla carta e a parole che non si è ancora tradotto in azioni concrete in grado di porre limiti al degrado e alla sfruttamento”. La Piana di Gioia Tauro, insomma, rappresenta ancora
“uno scandalo italiano, rimosso di fatto, dal dibattito pubblico”.
Tante le raccomandazioni contenute nel rapporto per superare questa situazione: dall’housing sociale al potenziamento dei centri per l’impiego, da maggiori controlli sulle aziende al rafforzamento dei trasporti pubblici fino ad un migliore accesso alle cure sanitarie.