Pace tra le Coree

Senza passi indietro

I leader delle due Coree si sono incontrati tendendosi la mano per la pace e la denuclearizzazione della penisola. È accaduto il 27 aprile, con uno di quei colpi della storia inaspettati, insperati anche, ma mai casuali. Il trattato di pace dovrà essere ratificato entro un anno (era ancora vigente l’armistizio del 1953) e dovrà essere messa in atto la denuclearizzazione. Parola che non si sperava di udire.

(Foto: AFP/SIR)

Troppo bello per essere vero e, invece, vero è. Almeno nella proclamazione di intenti, svoltasi sotto i riflettori del mondo. I leader delle due Coree si sono incontrati tendendosi la mano per la pace e la denuclearizzazione della penisola. È accaduto il 27 aprile, con uno di quei colpi della storia inaspettati, insperati anche, ma mai casuali.
Il leader della Corea del Sud, Moon Jae-in (figlio di rifugiati nordcoreani) ha lavorato non poco all’insegna della distensione e del dialogo, meritandosi per questo una certa opposizione interna, ai cui occhi è parso prono al tuonante Kim Jong-un, leader del Nord, noto per la sagoma pingue e le reiterate prove di lancio di missili, condite da sfilate propagandistiche di armi e da parole non meno tonanti.
Oltre a stringersi la mano e a piantare insieme un pino, nutrito della terra e irrorato dell’acqua delle due Coree, di quella storica giornata resta la Dichiarazione di Panmunjom sottoscritta dai due leader a nome dei due Paesi e di “ottanta milioni di coreani”. Il trattato di pace dovrà essere ratificato entro un anno (era ancora vigente l’armistizio del 1953) e dovrà essere messa in atto la denuclearizzazione. Parola che non si sperava di udire.
Gli appelli alla pace non sono mancati: ripetuti quelli di Papa Francesco, a partire dalla sua visita del 2014 in Corea del Sud. A Seul aveva dichiarato: “La Corea non si scoraggi nel perseguire pace, unità e giustizia. E abbatta il muro dell’odio e della diffidenza, promuovendo una cultura di riconciliazione e di solidarietà”. Parole commentate da Kim con il lancio di razzi in mare. Da allora ad oggi gli inviti si sono ripetuti, fino all’allarmato appello di questo gennaio quando, incontrando il Corpo Diplomatico, Francesco ha chiamato per nome il timore del mondo: “Un errore umano in Corea può provocare un disastro nucleare”.
Oltre a tutto il lavorio sommerso e all’esplicito peso delle sanzioni, anche i Giochi olimpici di febbraio, svoltisi in Corea del Sud, hanno contribuito alla distensione. La presenza degli atleti nordcoreani, preceduta da visite esplorative delle delegazioni, è stata una beneaugurante conquista. Coronata, la settimana scorsa, dal summit di pace.
Resta in calendario, fra qualche settimana, l’incontro di Trump con Kim: sarà un momento di verifica, di sostanza dopo la forma. Le reciproche minacce non sono un ricordo lontano come neppure il conseguente e diffuso timore che hanno suscitato.
Per il momento sono stati rimossi quegli strumenti che, sul confine del 38° parallelo, servivano a tenere vivida la tensione a suon di inni lanciati dagli altoparlanti o di sguardi di controllo e sfida delle guardie dei due Paesi. Allineato il fuso orario con Seul, si parla anche di chiusura del sito dei test nucleari di Punggye-ri.
Se il trattato di pace resta da scrivere, la Dichiarazione di Panmunjom ha già fissato tre intenti che fanno ben sperare.
Primo: “La Corea del Sud e del Nord ristabiliranno le relazioni di sangue del popolo e porteranno avanti la futura co-prosperità e unificazione guidata dai coreani”. Secondo: “Faranno sforzi congiunti per alleviare l’acuta tensione militare ed eliminare praticamente il pericolo della guerra nella Penisola coreana”. Terzo: “Coopereranno attivamente per stabilire un permanente e solido regime di pace”.
Tre punti che fanno compiere alla storia un balzo in avanti. Auguriamoci che non ci sia alcuna marcia indietro.

(*) direttrice “Il Popolo” (Concordia-Pordenone)