Politica

Uscire dall’impasse

Anche stavolta bisogna attendere un venerdì, quest’altro d’inizio maggio, per sapere le decisioni del presidente Mattarella sull’iter da seguire, e quindi non ci si può certo, prima, sbilanciare in previsioni. Si può comunque dare uno sguardo ai due mesi trascorsi invano tra i vari e variopinti (si parlava infatti di giallo, verde, azzurro, rosa, rosso…) tentativi di dare un governo al Paese. E si deve dire che lo spettacolo è stato davvero deludente!

Anche stavolta bisogna attendere un venerdì, quest’altro d’inizio maggio, per sapere le decisioni del presidente Mattarella sull’iter da seguire, e quindi non ci si può certo, prima, sbilanciare in previsioni. Si può comunque dare uno sguardo ai due mesi trascorsi invano tra i vari e variopinti (si parlava infatti di giallo, verde, azzurro, rosa, rosso…) tentativi di dare un governo al Paese. E si deve dire che lo spettacolo è stato davvero deludente! Il presidente ha voluto – a quanto pare – esperire e far esperire tutte le strade possibili, alcune, a dire il vero, anche contraddittorie, per mettere i partiti (o movimenti) di fronte alle proprie responsabilità. Ma ciò che ne è emerso è una incomunicabilità di fondo, a dispetto dei più moderni strumenti di comunicazione. Mattarella continua comunque a infondere fiducia, a condizione s’intende di una resipiscenza dal vizio di guardare solo i propri interessi. Così si è espresso il 1° maggio al Quirinale, parlando della nazione nel contesto del discorso sui valori del lavoro: “Non mancano difficoltà nel nostro cammino. Tuttavia, dove c’è senso di un destino comune da condividere, dove si riesce ancora a distinguere il bene comune dai molteplici interessi di parte, il Paese può andare incontro, con fiducia, al proprio domani”. Per “dove” si dovrà intendere “se”: altro monito dunque alle forze politiche, che sembrano fare orecchie da mercante. Il mantra ora sembra diventato “elezioni subito!”. Primo sostenitore è quel Di Maio che s’era già illuso di essere ormai a palazzo Chigi: con troppa convinzione, in verità, tanto da pensare di poter giocare indifferentemente su “due forni” senza scottarsi. “Lega e Pd per me pari sono” diceva; ma non la pensavano così né la sua base, né quella del Pd, né gli altri autorevoli o meno interlocutori. Fino alla plateale caduta di ogni ipotetico “contratto”, persino con i vituperati “perdenti”, dopo l’uscita televisiva dell’ex-segretario Pd che avvisava di avere ancora le carte lui, vanificando in anticipo la direzione del 3 maggio. Renzi avrà pur commesso una scorrettezza politica, ma, francamente, un accordo M5S-Pd, tra numeri risicati e proteste delle basi non sembrava né ragionevole né possibile. E d’altro canto sarebbe stato davvero uno schiaffo escludere del tutto il Nord palesemente in mano al centrodestra. Ha un bel protestare il capo politico pentastellato contro tutto e contro tutti, ma il suo “ego” non sembra certo più modesto di quello degli altri, visto che non ha nemmeno mai lontanamente pensato (almeno per ora) a fare un passo indietro cedendo la poltrona di presidente del consiglio. Su un eventuale cedimento sembra ancora sperare il più benevolo e “modesto” Salvini, che non si ritiene indispensabile ma ribadisce l’indispensabilità del centrodestra unito, ringalluzzito vieppiù dai clamorosi risultati delle regionali in Molise e in Friuli Venezia Giulia, dove peraltro il M5S ha subito dure lezioni. Infatti il Matteo verde rilancia ora l’accordo con i gialli, sennò si rassegnerà a nuove elezioni. Ma non così la penserà Mattarella, né, pare, i neoeletti alle Camere.

(*) direttore “Nuova Scintilla” (Chioggia)