Dopo il convegno Cei

Salute. Don Angelelli: “La pastorale deve integrarsi con il territorio. Stiamo lavorando ad un progetto pubblico-privato per raggiungere gli ultimi”

Una pastorale della salute dal passo dinamico e più integrata con il territorio. Un nuovo ruolo per parrocchie e ministri straordinari della Comunione. Un progetto di collaborazione pubblico-privato per riuscire ad intercettare gli ultimi degli ultimi. A parlarne è il direttore dell’Ufficio Cei a conclusione del XX convegno nazionale

“Questo appuntamento è l’introduzione al vero convegno che durerà un anno: la nostra attività di lavoro”. Esordisce con una battuta don Massimo Angelelli, direttore dell’ Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei, stilando per il Sir un bilancio a caldo del XX convegno nazionale “Uno sguardo che cambia la realtà. La pastorale della salute tra visione e concretezza” conclusosi ieri a Roma. Tre giornate di lavori per leggere in profondità le sfide che interpellano la Chiesa e delineare prospettive e progetti. “La pastorale della salute non si può fare né per iscritto né in un ufficio – premette il sacerdote -; è una pastorale per le persone e con le persone, e va fatta nei contesti reali. Noi forniamo solo schemi, proposte, strumenti”.

Una pastorale che “sta crescendo sul territorio e nelle diocesi”, come sta aumentando “la consapevolezza che la salute integrale della persona passa attraverso tutta una serie di variabili”. Oggi “c’è una forte domanda di salute da parte dei cittadini che sentono il proprio benessere fisico, psichico e spirituale intaccato da una pluralità di fattori sociali ed economici”. In questo scenario “sta inoltre cambiando il modello di sanità, dobbiamo pertanto riorientare anche la nostra pastorale”. Finora, osserva Angelelli, “abbiamo sempre immaginato gli ospedali come luoghi di recupero della salute ma oggi, a causa dei cambiamenti sociali economici, strutturali della sanità, questo baricentro si sta spostando sulle cure domiciliari. Pertanto

la pastorale della salute deve integrarsi fortemente con il territorio

e per noi questo significa una presenza di parrocchie, unità di base della comunità cristiana, chiamate a riorientare la propria pastorale.

Quali strumenti mettere in campo?

“Immagino una rete dei ministri straordinari della Comunione sempre più evoluta; dobbiamo rileggere questo ministero straordinario come network di contatti sul territorio a servizio di tutta la comunità cristiana. Le notizie di persone rinvenute morte dopo diversi giorni sono una sconfitta perché la Chiesa deve essere una comunità integrata, sanante, in grado di prendersi cura dei suoi membri più fragili e sofferenti”.

“In questa ottica di evoluzione – da un lato del modello di sanità, dall’altro della pastorale della salute – occorre avere un punto di contatto sul territorio”. A tale fine, afferma il direttore dell’Ufficio Cei, “la Chiesa mette a disposizione la propria capacità di penetrazione e di storica presenza territoriale, ma anche lo Stato fa un passo verso i cittadini mettendo a disposizione le proprie professionalità”. “Stiamo disegnando dei modelli nuovi – annuncia -, ancora in fase di studio:

un progetto di integrazione fondato sul principio di sussidiarietà inteso come una collaborazione pubblico-privato, quindi Stato-Chiesa, per il benessere della persona.

Non dobbiamo sostituire la sanità con un’offerta alternativa; ci affianchiamo allo Stato per creare un modello nel quale ognuno, nel rispetto delle competenze e dei ruoli, si integri”. Così, “avvicinando la parrocchia alla sanità attraverso questa formula, speriamo di poter recuperare soprattutto gli ultimi degli ultimi cioè gli ‘irraggiunti’”. Perché “la sanità funziona ‘push and pull’: chiedendo una prestazione la si riceve, magari in ritardo. Ma che cosa accade a quelli che non riescono nemmeno a fare la richiesta? Bisogna riuscire a intercettarli e accompagnarli”. Non a caso l’icona prescelta è il passo evangelico del paralitico di Betsaida che non aveva nessuno che lo mettesse nella piscina. “All’interno del nostro sistema universalistico spetta allo Stato offrire risposta alla domanda di salute dei cittadini; noi però vogliamo creare quei corridoi, quella funzione di connessione affinché tutti, anche gli ‘irraggiunti’ diventino raggiungibili.
A che punto siete? “Stiamo lavorando con alcune strutture pubbliche per creare un modello che verrà testato in alcune aree del nord, del centro e del sud Italia. Se questo progetto dovesse risultare efficace – conclude don Angelelli – lo proporremo su tutto il territorio nazionale”.