A 40 anni dalla 194

Aborto. Filippo M. Boscia (Amci): “Una legge iniqua. Occorre garantire alle donne anche il diritto di non abortire”

La legge 194 compie 40 anni. Per il presidente dei Medici cattolici, ginecologo e responsabile di un dipartimento per la salute della donna e la tutela del nascituro, si sottovaluta il numero degli aborti nascosti, accessibili anche a giovanissime con rischi per la loro salute. C’è un kit “fai da te” acquistabile online. E un farmaco antinfiammatorio può indurre falsi aborti spontanei

Oggi, 22 maggio, compie 40 anni la legge 194/70 “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza” con la quale l’aborto ha cessato di essere considerato un reato penalmente perseguibile. Secondo i dati del 2016 – raccolti dal Sistema di sorveglianza epidemiologica delle Ivg coinvolgendo Istituto superiore di sanità (Iss), ministero della Salute, Istat, Regioni e Province autonome – in quell’anno le Ivg sono state 84.926, -3,1% rispetto alle 87.639 del 2015, ma per il ginecologo Filippo Maria Boscia, presidente dell’Amci (Associazione medici cattolici italiani) e direttore del Dipartimento per la salute della donna e la tutela del nascituro all’Ospedale Santa Maria di Bari, c’è poco da cantare vittoria: “Questa diminuzione è ampiamente compensata dall’enorme incremento degli aborti ‘nascosti’”. Anzi: il totale delle interruzioni volontarie di gravidanza è in continuo aumento, anche tra le giovanissime, solo che è più difficile averne dati precisi, mentre in questi 40 anni “si è progressivamente perduta la consapevolezza che l’aborto sia a tutti gli effetti un omicidio”.

Professore, l’intitolazione della legge e l’art.1 richiamano il valore sociale della maternità e la tutela della vita umana dal suo inizio. Le cose però sono andate diversamente.
In quarant’anni gli aborti in Italia sono stati 6 milioni. La legge richiama nella sua prima parte l’importanza della tutela sociale della maternità, ma nella sua applicazione su questa prima parte ha decisamente prevalso la seconda. Un provvedimento ingannevole che in sostanza ha gradualmente portato all’accettazione dell’aborto nella mentalità e nel costume.

Oggi l’aborto procurato non viene riconosciuto come omicidio, ma piuttosto come un bene sociale.

Ritornando ai dati del Ministero, su quale base li ritiene incompleti?
Nel 2016 sono state acquistate 214.532 confezioni di pillola del giorno dopo (dal 2015 venduta liberamente) e 189.589 di pillola dei cinque giorni dopo per un totale di quasi 405.000 confezioni.

Quello che lei definisce “aborti nascosti”.
Si tratta del cosiddetto aborto chimico o farmacologico; contrariamente a quanto viene detto, non contraccezione d’emergenza ma intercettivo postcoitale che in caso di avvenuto concepimento blocca l’impianto dell’embrione impedendone l’annidamento.

Dunque un vero e proprio aborto nascosto.

Ho consultato su Google la voce “aborto fai da te” e ho scoperto che è in commercio un kit che si può ottenere per posta a casa. Mi preoccupa molto questo aborto che si consuma nella totale solitudine senza la possibilità di un soccorso, di un consiglio. Per me qui si configura una violazione della legge 194 perché viene completamente meno la tutela della vita fin dal suo inizio. Ma mi preoccupa anche la mancanza di misure per salvaguardare la salute della donna. Questi farmaci, utilizzati da giovanissime che non hanno ancora completato il proprio sviluppo, possono provocare loro seri danni. E poi c’è il capitolo del falso aborto spontaneo.

Che significa?
Un farmaco antinfiammatorio usato per trattare le ulcere gastriche e fortemente sconsigliato in gravidanza viene talvolta impiegato per indurre un travaglio abortivo vero e proprio. Il calo delle Ivg è legato alla diminuita fertilità in generale, al ricorso alla pillola del giorno dopo, agli aborti clandestini (che continuano), a quelli spacciati come spontanei, tutti dati che mancano nella statistica del Ministero.

È stato registrato un aumento degli aborti tardivi, come se lo spiega?
Le Ivg sono consentite dopo i primi 90 giorni solo nei casi in cui sia a rischio la vita della madre o in caso di gravi anomalie/malformazioni fetali che possano incidere gravemente sulla salute fisica e psichica della stessa. La legge fissa un termine a quo ma in sostanza “apre” all’escamotage del disturbo mentale. Quando si mette di mezzo la psiche è chiaro che tutto può essere autorizzato: la donna sarebbe in pericolo perché non potendo mettere fine una gravidanza non desiderata potrebbe impazzire fino al punto da suicidarsi. Per quanto riguarda le malformazioni, magari c’è stata una diagnosi per certi aspetti azzardata di una malformazione che magari non si ripresenterà. Su questo bisognerebbe vigilare.

Le consulenze devono essere scrupolose, fornite da medici attenti, capaci di assumersi puntuali responsabilità mentre sono spesso frettolose, effettuate magari da professionisti che temono di essere in futuro chiamati a rispondere per danni.

Qui si apre il capitolo della medicina difensiva.
Negli ultimi anni circa 255 persone sono venute a chiedermi un consiglio dopo una diagnosi ben precisa di malformazione. Le ho poste in un percorso di accompagnamento, di care, di vicinanza. Alcune malformazioni sono transitorie oppure si tratta di segni che non sempre corrispondono a malformazioni, o anche di polimorfismi non lesivi della vita e del benessere successivo del bambino. Talvolta manca l’esperienza da parte del medico, ma occorre anche mettere in conto l’esondazione della giustizia.

I medici vivono nella paura e ovviamente la medicina difensiva diventa aggressiva nei confronti della vita nascente per tutelare se stessi.

E in caso di feti terminali?
Alcune forme definite di terminalità del feto sono scientificamente infondate, create da pregiudizi sociali e manipolazioni culturali sfruttando l’ansia e l’ignoranza anche di alcuni medici e “obbligandoli” alla medicina difensiva. Così come alla domanda se un’infezione contratta o un farmaco assunto in gravidanza possano danneggiare il feto spesso non corrisponde una risposta esaustiva e non ci sono dati certi o sperimentali. Se il medico non ha la possibilità di documentare scientificamente la propria risposta il suo consiglio non sarà allora quello più giusto ma quello ispirato dalla necessità di cautelarsi nei confronti di eventuali rivalse risarcitorie.

È fortissimo il condizionamento cui è sottoposto il professionista. Messo letteralmente con le spalle al muro si sente quasi legittimato a dire alla donna di abortire e talvolta è lui stesso a facilitare questo percorso di morte.

Secondo lei, i consultori familiari hanno svolto la loro funzione?
Sono stati istituiti per essere luoghi di prevenzione dell’aborto aiutando la donna e rimuovendo le cause che potevano indurlo, invece sono diventati di luoghi di erogazione di certificati e di accompagnamento all’aborto stesso. Occorrerebbe monitorarli per verificare i livelli di consulenza e assistenza effettuata da medici, psicologi e assistenti sociali, ma

è soprattutto necessario un loro ripensamento generale, una riforma che li riporti alla loro vocazione di strutture orientate al sostegno alla genitorialità in difficoltà.

Un suo giudizio conclusivo sulla 194?
Una legge iniqua e applicata anche tramite alcuni inganni. Le donne vanno sostenute e occorre garantire loro anche il diritto di non abortire.