Società

I cristiani e gli immigrati

Come Chiesa dobbiamo interrogarci. Forse ci siamo lasciati prendere dall’emergenza e abbiamo dimenticato i problemi della nostra gente? Sarebbe ingeneroso affermare ciò; le nostre comunità cristiane sono impegnate a 360 gradi in favore di tutti, qualunque sia il colore, la nazionalità, la religione, lo stato sociale. Perché, prima di ogni differenza, siamo persone umane

Non mi sento di entrare in un argomento così complesso qual è la vicenda della nave Aquarius e il tema dell’accoglienza dei migranti, tornato di attualità con le scelte del nuovo governo. Certamente chi ha le responsabilità dirette, se animato da buonafede e umanità, sa quale debba essere la soluzione migliore di un problema epocale. È quello che voglio credere rispetto a coloro che ci governano, per i quali i cristiani nella liturgia pregano quotidianamente affinché promuovano il bene comune, la giustizia e la pace sociale.
Mi preoccupa però il clima in cui viviamo, condizionato gravemente dalla presenza di quella “fogna” che sono i social, che non aiuta ad inquadrare nella giusta cornice il fenomeno. La politica, nel basso livello in cui è caduta da tempo, sguazza in questa situazione, alimentando un clima di netta contrapposizione e di continuo insulto che fa emergere gli istinti più bassi della gente. Anche gli organi di informazione, da anni, cavalcano questi bassi istinti mostrandoci titoloni aggressivi, piazze urlanti o ascoltatori arrabbiati. Così cavalcare l’onda emotiva paga e porta consensi.
La considerazione che faccio deriva dalla constatazione che una sorta di ostilità nei confronti dei migranti serpeggia in maniera non tanto nascosta anche tra coloro che frequentano le nostre chiese e si professano cattolici. A fronte dell’impegno di diocesi e parrocchie per l’accoglienza, così come chiesto ripetutamente da Papa Francesco, sostenute dalle ingenti risorse umane ed economiche messe a disposizione dalle Caritas siciliane e dallo sforzo di tanti volontari per organizzare la prima accoglienza dei profughi, non corrisponde un’altrettanta sensibilità da parte di molti credenti, i quali, più che dall’opera formativa della comunità cristiana, si lasciano trascinare dall’onda emotiva di chi prospetta lo spettro dell’invasione africana o sottolinea che queste risorse dovrebbero essere impiegate primariamente per aiutare le famiglie italiane o i giovani in cerca di occupazione (secondo lo slogan salviniano “prima gli italiani”). Ne sono prova, qualora ce ne fosse bisogno, gli episodi di Pietraperzia, dove alla ostilità verso i migranti non sono bastate la raccolta di tremila firme (in una comunità di circa 5mila abitanti) ma anche il colpo di lupara che poi ha messo a tacere ogni polemica. Dov’erano i cristiani in questo frangente?
La stessa analisi del voto delle ultime elezioni, con la crescita progressiva della Lega, guidata da quell’ottimo comunicatore che è Matteo Salvini, ci fa pensare che il voto dei cattolici si sia indirizzato verso posizioni che di cristiano hanno poco, anche se sbandierate come evangeliche.
Se la situazione è questa non possiamo non tenerne conto. Come Chiesa dobbiamo interrogarci. Forse ci siamo lasciati prendere dall’emergenza e abbiamo dimenticato i problemi della nostra gente? Sarebbe ingeneroso affermare ciò; le nostre comunità cristiane sono impegnate a 360 gradi in favore di tutti, qualunque sia il colore, la nazionalità, la religione, lo stato sociale. Perché, prima di ogni differenza, siamo persone umane.

(*) direttore “Settegiorni dagli Erei al Golfo” (Piazza Armerina)