Società
Nei giorni scorsi è stata depositata presso la Corte di Cassazione la proposta di legge di iniziativa popolare per introdurre nei piani di studio l’educazione alla cittadinanza. Un’iniziativa partita da Firenze e condivisa dall’Anci. Di obiettivi e prospettive ne abbiamo parlato con Cristina Giachi, vicesindaca di Firenze e presidente della commissione nazionale scuola di Anci
“Rimodulare l’insegnamento dell’educazione civica in una più moderna concezione di educazione alla cittadinanza”. È la richiesta che arriva dai sindaci dei Comuni italiani che, nei giorni scorsi, hanno depositato presso la Corte di Cassazione la proposta di legge di iniziativa popolare per introdurre nei piani di studio l’educazione alla cittadinanza. L’obiettivo, ha spiegato nell’occasione il presidente dell’Anci (Associazione nazionale dei Comuni italiani) e sindaco di Bari, Antonio Decaro, è quello di “rafforzare il senso di appartenenza a una comunità. Che vuol dire non soltanto rivendicare diritti ma anche essere consapevoli dei propri doveri”. A 60 anni dall’introduzione, voluta dall’allora ministro della Pubblica Istruzione, Aldo Moro, dell’insegnamento dell’educazione civica nelle scuole medie e superiori, da Firenze è partita una proposta, prontamente condivisa da molti sindaci italiani. “Sento l’urgenza – ha spiegato il primo cittadino di Firenze, Dario Nardella – di avere cittadini sempre più consapevoli di vivere una comunità e del fatto che le regole non sono un ostacolo alla libertà, ma uno strumento utile a ciascun individuo per esprimersi pienamente nella società. Il tema dell’educazione è fondamentale per insegnare questo perché altrimenti resta solo la repressione delle condotte incivili, che richiede sempre più energie e risorse”.
Di questa proposta, ora in attesa di essere sottoscritta da 50mila italiani per diventare oggetto di discussione in Parlamento, ne abbiamo parlato con Cristina Giachi, vicesindaca di Firenze e presidente della commissione nazionale scuola di Anci, tra le principali promotrici dell’iniziativa.
Com’è nata la proposta di introdurre l’educazione alla cittadinanza?
Dall’analisi della condizione di crescita civile nelle nostre comunità.
Le competenze di educazione civica si insegnano in modo trasversale in tante materie, per cui non è che la scuola non faccia nulla. Però lo si fa in un modo che non trasmette il valore di questa competenza per la formazione dell’individuo. Anche simbolicamente non lo fa.
In che senso?
Non avendo una materia con un voto, anche sulle pagelle, le famiglie non trovano nessun accenno ad una competenza così importante come quella che abbiamo raccolto intorno al tema dell’“educazione alla cittadinanza”. Si va dall’educazione al rispetto della Costituzione e dei principi fondamentali a quello per l’ambiente, dal rispetto degli altri a quello per i beni comuni, dalla non discriminazione al galateo del digitale… Competenze oggi fondamentali, anche per i tanti cittadini nuovi che arrivano nel nostro Paese.
È fondamentale trasmettere quanto sia importante essere un bravo cittadino,
non soltanto per un fine di etica sociale, ma anche per aspirare alla piena realizzazione personale.
A 60 anni dall’introduzione dell’educazione civica serve un ulteriore passo avanti?
La nostra proposta è anche un rinverdire, un aggiornare quell’esigenza che Moro sentì e a cui dette una risposta chiara e molto strutturata. Oggi, per esempio, c’è tutto il tema delle Istituzioni europee, c’è il tema del diritto del lavoro che i giovani ignorano tranne quelli che lo studiano come materia del loro curriculum. Temi importanti per ciascun cittadino.
Come si articola la proposta?
Abbiamo previsto che venga costituita presso il ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Miur), una commissione ad hoc di esperti che articoli a seconda dei curricula e dei diversi ordini e gradi d’istruzione il programma, i contenuti, le valutazioni e le modalità di erogazione di questa didattica. Nei licei, per esempio, è probabile che debba essere aggiunta un’ora su discipline più tecniche come Costituzione, Istituzioni europee, diritto del lavoro. Per curricula di studio in Istituti tecnici le soluzioni potrebbero essere diverse, viste le materie di Diritto ed economia che gli studenti seguono già. Sia che si tratti di aggiungere un’ora ai curricula, con tutto quello che comporta in termini di maggiori risorse da reperire, sia che si ricavi l’ora rimodulando gli orari esistenti questa è una scelta che farà la Commissione e che successivamente sarà votata dal Parlamento.
L’obiettivo adesso è raccogliere le 50mila firme a sostegno della proposta di legge…
Con Anci stiamo lavorando ad un programma che prevede sia momenti per sottolineare l’importanza dell’iniziativa – magari con una giornata per inaugurare la raccolta delle firme – sia un modo per attivare i sindaci sui rispettivi territori. Presentando la proposta al Consiglio nazionale dell’Anci ho trovato un’accoglienza che – devo dire – è stata davvero eccezionale. Perché
tutti i sindaci rilevano l’esigenza di avere cittadini più consapevoli di cosa vuol dire amministrarli, del quadro normativo nel quale ci muoviamo, di qual è la cornice istituzionale della loro vita quotidiana…
Si aspetta un’analoga risposta da parte dei cittadini?
Finora l’accoglienza è stata buona. E nessuno ci ha detto “è inutile”.
E il mondo della scuola come ha reagito?
C’è forse un po’ di resistenza, per via di una difesa da parte degli addetti ai lavori dell’attuale stato dell’arte con la trasversalità di queste competenze: un’aspirazione molto alta, quella di collocare l’esigenza della cittadinanza all’interno di ogni materia di studio…
La nostra proposta di legge non è una critica allo stato dell’arte di questo insegnamento,
ma vuole aggiungere un elemento che è quello percepito dagli amministratori locali che quotidianamente si confrontano con cittadini che ignorano quanto sia necessaria la loro consapevolezza per gestire meglio le comunità civiche, per rispettarci di più, per poter esprimere meglio la nostra libertà.