Agenzie di stampa cattoliche europee
“Guardare alle persone. Cercare di vedere, in ogni situazione, la presenza di un fratello che ha bisogno del nostro aiuto. Certo, i problemi hanno risvolti politici ed economici, difficoltà di gestione. Ma evidenziano sempre che c’è un fratello davanti a noi che ha bisogno del nostro aiuto e questo va raccontato”. È il compito delle Agenzie di stampa cattoliche oggi in Europa e a sottolinearlo è monsignor Nuno Brás, vescovo responsabile della sezione comunicazioni sociali della Commissione evangelizzazione e cultura del Ccee. Lo abbiamo intervistato a margine di un incontro dei direttori delle Agenzie di stampa e dei portavoce dei vescovi europei in corso in questi giorni a Roma
Dare un “volto” ai problemi, raccontare storie, essere onesti nel dire la verità, favorire le relazioni in un tempo di divisioni e polarizzazioni. Questi alcuni dei tratti che dovrebbero caratterizzare oggi l’informazione delle Chiese cattoliche in Europa. È quanto sta emergendo all’incontro che per iniziativa del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee) sta riunendo a Roma (fino a giovedì 28 giugno) i portavoce delle Conferenze episcopali d’Europa, insieme ai direttori delle agenzie di stampa cattoliche europee. Ad ospitare l’incontro quest’anno è la Cei. Sono presenti i direttori o i delegati delle agenzie Sir (per l’Italia, www.agensir.it); Ika (Croazia, www.ika.hr); Kai (Polonia, kair.ekai.pl); Ktabkbih (Bosnia-Erzegovina, www.ktabkbih.net); Kathpress (Austria, www.kathpress.at). Nel panorama emergono anche i portali d’informazione delle Conferenze episcopali della Svizzera (kath.ch, cath.ch e catt.ch), del Belgio (catho.bel), della Bielorussia (catholic.by) e dell’Albania (www.albkatolik.al). La sessione dedicata alle agenzie di stampa ha preceduto l’incontro dei portavoce sul tema “Comunicare Cristo in un mondo polarizzato”. Oggi, ha detto il cardinale Angelo Bagnasco, presidente del Ccee, “domina una cultura che tende a slegare, in nome dell’autonomia assoluta”. Per questo, è necessario “veicolare nell’opinione pubblica la vera qualità della vita che non corrisponde all’autosufficienza o all’efficienza, ma al vivere dentro le relazioni”. A margine dell’incontro, il Sir ha intervistato monsignor Nuno Brás, vescovo responsabile della sezione comunicazioni sociali della Commissione evangelizzazione e cultura del Ccee.
Mons. Brás, cosa l’ha colpita di più dalle esperienze che sono state raccontate oggi dai direttori delle agenzia di stampa cattoliche?
Innanzitutto che esistono. In ogni Paese, in ogni Conferenza episcopale, c’è un’agenzia di stampa o una piattaforma sulla quale è possibile trovare le notizie della Chiesa. È una realtà, credo inedita, nel panorama mediatico europeo, caratterizzata cioè da una forte appartenenza, ma al tempo stesso estremamente composita e ramificata. Sta poi emergendo l’esigenza di una collaborazione effettiva tra le diverse agenzie. Una collaborazione che, certo, si confronterà con il problema delle lingue e dell’approccio diverso che esiste tra le Chiese in campo informativo. Pensiamo a quanto siano diverse, per esempio, le Chiese del Mediterraneo dalle Chiese dell’Europa occidentale o dell’Est. Tra le Chiese dove la comunità cattolica o addirittura cristiana è una esigua minoranza e tra quelle dove invece è di maggioranza.
Credo però che nonostante queste diversità, la collaborazione sia importante perché abbiamo bisogno di sinergia e l’Europa oggi ha bisogno di cristianesimo più che mai.
Quali sono le sfide comuni? Ma soprattutto c’è spazio in Europa per l’informazione “cattolica”?
Dipende dalla professionalità con cui le notizie vengono elaborate. Se un’agenzia ha un gruppo di giornalisti professionisti che lavorano con professionalità, le notizie vengono riprese. È anche vero che l’attenzione per le notizie del mondo cattolico è anche strettamente legata alla presenza della Chiesa nei singoli Paesi. Dipende, cioè, se questa presenza è significativa per quel Paese. Se però le agenzie sono concepite professionalmente bene, questo può certamente aiutare l’incidenza nell’opinione pubblica.
Fornire notizie che siano tali. Questo è il problema. Perché se una notizia interessa, viene ripresa.
Spesso i media cattolici si confrontano con situazioni di scandalo che emergono nelle Chiese. Qual è l’approccio che consiglia di dare in questi casi?
Sono innanzitutto notizie di situazioni che ci fanno soffrire. Questa è la prima cosa. Però la verità è la verità. Ed essere onesti è l’atteggiamento che va preso in qualsiasi situazione, per qualsiasi caso. Sono notizie che ci fanno soffrire ma dobbiamo dire sempre la verità.
In un’Europa polarizzata, quale comunicazione propone oggi la Chiesa?
Credo che l’atteggiamento sia sempre quello di guardare alle persone. Cercare, cioè, di vedere in ogni situazione, la presenza di un fratello che ha bisogno del nostro aiuto. Certo, i problemi hanno risvolti politici ed economici, difficoltà di gestione. Ma evidenziano sempre che c’è un fratello davanti a noi che ha bisogno del nostro aiuto e questo va raccontato. È la prima cosa che possiamo fare come comunicatori. Credo che raccontare la storia di questi fratelli più deboli e vulnerabili sia essenziale anche per incidere positivamente nell’opinione pubblica in ogni Paese europeo. Spesso, vale molto di più di un ragionamento filosofico.