Società
I problemi vanno affrontati e risolti, ma si può farlo senza una visione complessiva dell’uomo e della società? E, soprattutto, si può dare risposta senza voler accettare che le questioni sono complesse e richiedono non riduttive semplificazioni, ma soluzioni articolate, tempi lunghi e la responsabilità di tutti?
“In un’età in cui l’uomo vede sgretolarsi la propria identità culturale… la domanda che bisogna porsi è se l’uomo voglia ancora essere”. Questa è una frase che ho adocchiato – un po’ per caso – tra le conclusioni di un elaborato scritto in vista degli esami della maturità di quest’anno. Il breve testo – una decina di pagine in tutto – prova a delineare il ruolo dell’intellettuale in questa nostra porzione di tempo, che va dalla fine del XX agli inizi del XXI secolo: l’intellettuale, da un lato, appare come una figura sempre più marginale e incapace di influenzare la cultura contemporanea; dall’altro, paradossalmente, egli si scopre come colui del quale oggi abbiamo più che mai bisogno per salvare l’uomo dalla “nientificazione” e per proporre “un progetto di preservazione della vita”. Queste conclusioni mi hanno incuriosito e mi trovano fondamentalmente d’accordo. Chi ha scritto il breve saggio muove le sue considerazioni dall’analisi dell’arte contemporanea e del pensiero occidentale (italiano in special modo), ove si è imposto in maniera del tutto particolare il progresso della scienza e della tecnica. Per alcuni aspetti, si coglie una certa consonanza con l’enciclica sulla cura del creato di Papa Francesco – la Laudato si’ -, che nel terzo capitolo cerca di comprendere la “radice umana della crisi ecologica” e trova nel “paradigma tecnocratico”, cioè nell’eccessivo potere della tecnica non sostenuto da un adeguato sviluppo dell’etica, una delle principali cause dei disastri ambientali cui stiamo assistendo. Ma, tornando alla domanda di partenza, “l’uomo vuole ancora essere”? Potremmo leggere l’interrogativo almeno da due punti di vista. Il primo: l’uomo vuole davvero salvare se stesso dall’autodistruzione e dal cadere nel baratro, sul ciglio del quale sta pericolosamente camminando? E – il secondo punto di vista – vuole restare veramente “uomo”, salvaguardando il patrimonio di umanità e di valori “umani” che in secoli di storia e di civiltà ha faticosamente acquisito? Le due domande – quanto mai impellenti – chiedono oggi, provocati dai recenti fatti sull’accoglienza e il rifiuto dei migranti (ma non solo), di essere prese sul serio. Inoltre, sostando sulla domanda che fa da filo rosso all’elaborato, che ruolo ha l’intellettuale in tutto questo?
Ha i mezzi per portare un contributo alla società d’oggi oppure deve accettare, rassegnandosi, di stare a bordo campo, guardando altri giocare, confinato in una condizione di straniamento e di alienazione? Allargando ulteriormente la riflessione, in questo preciso momento storico che ruolo hanno la Chiesa e il magistero – per quanto illuminato – dei Pontefici? O, più sommessamente, quanto un’omelia domenicale o le attività pastorali delle comunità cristiane possono fornire spunti di riflessione e d’azione per le persone che ne sono intercettate? E quanto – domanda più volte posta anche in questo giornale – i cattolici sono in grado di far fermentare, come lievito, la pasta della società in cui vivono? Quanto è ancora vera l’espressione della lettera a Diogneto, scritta da un autore cristiano del II secolo: “Come è l’anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani”? Oggi sembra ci sia desiderio di altro: vale a dire, il desiderio di uomini forti e – soprattutto – d’azione, capaci di operare subito, nell’immediato, per risolvere i problemi concreti. Certo, i problemi vanno affrontati e risolti, ma si può farlo senza una visione complessiva dell’uomo e della società? E, soprattutto, si può dare risposta senza voler accettare che le questioni sono complesse e richiedono non riduttive semplificazioni, ma soluzioni articolate, tempi lunghi e la responsabilità di tutti? Queste domande rimangono aperte, come aperta è la domanda da cui siamo partiti: “L’uomo vuole essere ancora?”. Forse un servizio utile che si può offrire oggi è proprio questo: quello di porre di nuovo delle domande. Non è poi questa capacità – quella di porsi delle domande – che sta all’origine di ogni sapere, dalla filosofia alla religione, e che contraddistingue l’uomo nella sua identità più vera?
(*) direttore “L’Azione” (Vittorio Veneto)