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Al cinema c’è “Stronger – Io sono più forte”, biopic su Jeff Bauman, sopravvissuto all’attentato di Boston nel 2013

Diretto da David Gordon Green, con protagonista Jake Gyllenhaal, il film è da oggi (4 luglio) nelle sale italiane distribuito da 01 Distribution. “Stronger” conquista per il racconto di una vicenda di caduta e risalita, l’immagine di un uomo e di un Paese violati dal male, dal terrorismo, ma che non si rassegnano

L’attentato a Boston il 15 aprile del 2013, con due bombe rudimentali piazzate lungo il percorso della maratona, ha causato la morte di 3 persone e 264 feriti. Uno di quei feriti è Jeff Bauman, all’epoca giovane di 27 anni che era a bordo strada per incoraggiare la sua fidanzata Erin. Nell’esplosione Jeff ha perso entrambe le gambe. La sua sofferenza, la sua vita stravolta, ma anche il suo sforzo tenace di ripresa, hanno colpito la città di Boston e gli Stati Uniti. È divenuto una figura esemplare. La sua storia è stata raccontata prima in un libro, “Stronger”, scritto dallo stesso Bauman con Brett Witter, e ora in un film con il titolo “Stronger – Io sono più forte”, diretto da David Gordon Green con protagonista Jake Gyllenhaal, presentato alla 12a Festa del Cinema di Roma. Da oggi (4 luglio) il film è nelle sale italiane distribuito da 01 Distribution. Il Sir ha visto in anteprima il film con la Commissione nazionale valutazione film della Cei.

Il grido dell’America ferita che non si arrende

A un primo sguardo l’impianto narrativo del film “Stronger” potrebbe apparire prevedibile e forse un po’ retorico. In realtà è un film intenso e dai risvolti edificanti, che trova spessore grazie anche all’interpretazione appassionata di Jake Gyllenhaal, in grado di conferire realismo e onestà alla vicenda vera di Jeff Bauman, sopravvissuto all’attentato di Boston nel 2013.

Vediamo la storia. Jeff (Gyllenhaal) è un giovane quasi trentenne dalla vita tranquilla, commesso presso la catena di supermercati Costco. È innamorato della runner Erin (Tatiana Gabrielle Maslany), impegnata in una corsa di beneficenza, e così decide di andare a seguirla a bordo strada in occasione della maratona di Boston. Lì tra la folla incrocia con lo sguardo un volto, dietro occhiali e berretto, che non dimenticherà più, il viso di uno dei due terroristi che hanno minato la gara con bombe artigianali. “La cosa che mi colpì di più – scrive nel libro Bauman – fu il suo comportamento. Tutti facevano il tifo e guardavano la corsa. Tutti si divertivano. Tranne lui. Era solo, e non si stava divertendo. Faceva sul serio”. Pochi secondi dopo avviene la prima esplosione: fumo, calore, odore acre, stordimento, sangue, tanto sangue. Jeff è steso a terra, intento a ricostruire l’accaduto, e subito si accorge di essere stato mutilato, di non avere più le gambe dal ginocchio in giù.

Quell’evento azzera così la sua esistenza. In quel momento scompare tutto, la sua vita, i suoi sogni, il suo desiderio di futuro e gli affetti. Come riuscire ad andare avanti ridotti in quel modo? Questo si chiede Jeff. Lo urla spesso con rabbia, altre volte con silenzio tagliente, a tutti quelli che sono attorno a lui; in famiglia, alla madre Patty (una coinvolgente Miranda Richardson), o alla fidanzata Erin, che si dedica a lui con premura struggente. Ma Jeff scaccia via il mondo.

Finché qualcosa non rinasce in lui, finché non si accorge di essere amato, seguito, accolto come simbolo di quell’America che non molla. Jeff finisce così per incarnare il manifesto “Boston Strong”, capisce di dover dare voce a quelle 3 vittime e ai 264 feriti. Si convince dunque a farsi aiutare, ad accettare le protesi, e si rimette in cammino verso la vita. Nella sua biografia, parlando dei suoi soccorritori, scrive: “Tutti quel giorno si sono presi cura di me. Mi hanno salvato la vita. Sono loro gli eroi, perché mi hanno dato questa opportunità. Mi hanno dato l’occasione di dimostrare che io, che noi, siamo migliori dei codardi con le bombe. Che non siamo finiti. E non abbiamo paura. Noi siamo più forti”.

Un film doloroso e incoraggiante

La vigorosa interpretazione di Gyllenhaal e degli altri attori, insieme a una storia drammaticamente forte, sorretta dalla regia di David Gordon Green asciutta e misurata, sono gli ingredienti vincenti di questa storia. “Stronger” conquista infatti per il racconto di una vicenda di caduta e risalita, l’immagine di un uomo e di un Paese violati dal male, dal terrorismo, ma che non si rassegnano. Nella narrazione ci sono dei passaggi forti, che possono dar fastidio allo spettatore, che possono farlo sentire a disagio. Ma è la volontà di mostrare quella lacerazione nel quotidiano, il realismo della violenza terroristica che sottrae i colori al presente, tranne quelli della paura e dell’angoscia. Il film esplora tutto questo, con un andamento prolungato, quasi claustrofobico, per poi riacquistare slancio, leggerezza, man mano che il nostro protagonista Jeff torna a rivedere il cielo, a guardare con fiducia al domani.

“Si tratta di un biopic intenso – sottolinea al Sir Massimo Giraldi, presidente della Commissione nazionale valutazione film della Cei – che fotografa bene la caduta fisica e psicologica di Bauman, il suo incedere faticoso verso una risalita. ‘Stronger’ riesce anche a cogliere con efficacia il ritratto dell’America di oggi, quella delle periferie non scintillanti, dove le famiglie arrancano per la crisi del lavoro e le poche coperture sanitarie. Un’America sgualcita, ma che non cede”.