Società

Cristianesimo e politica

Vogliamo contrastare, con le armi della ragione e dell’amore al prossimo, chi usa linguaggi che contengono odio, ma non vogliamo noi stessi odiare chi li usa. Impariamo da Etty Hillesum, che non volle accettare di odiare i nazisti per non abbrutirsi come loro

Dopo che il cristianesimo è stato tanto disprezzato e il laicismo lodato, dopo che sono state cancellate dalla cultura europea le radici cristiane, fa senso trovare in un editoriale del Corriere della Sera a firma di Ernesto Galli della Loggia, il 27 giugno 2018, un articolo sorprendente. Cito direttamente: “Per ridare senso alla politica c’è bisogno di un’ispirazione alta e forte, che oggi però non può venire da dottrine e valori esclusivamente politici. La ‘democrazia benevola’ che vogliamo non è quella né di Pericle né di Cicerone: deve ad essi cose anche importanti, ma è nata qui in Occidente dallo spirito delle Sacre Scritture rese universali dal Cristianesimo”. Lascio a chi legge la valutazione della testata o dell’autore dell’articolo circa la competenza sul cristianesimo. Voglio solo rilevare la felice sorpresa.
Questo richiamo ad una ispirazione “alta e forte” non può essere un “etsi Deus daretur” che Papa Ratzinger aveva respinto come strumentalizzazione della verità rivelata; oppure un ritorno all’espressione del presidente Pertini: “La Chiesa può fare di più”, senza riconoscere almeno l’ispirazione al Vangelo. Siamo coscienti che la nostra etica, pur ispirata cristianamente, ha una sua forte struttura razionale. Non si può, però, per questo invocare un cristianesimo senza Dio, senza Cristo, senza Vangelo. I suoi precetti, inclusivi perché legati all’umanità, possono diventare sale e lievito. L’amore al prossimo, per esempio, è un precetto fra i principali della Scrittura. Chi cerca il bene comune, di fatto ama il prossimo e persegue l’obiettivo massimo della politica. Vi si oppone l’egoismo, l’odio, la volontà di divisione. Il linguaggio di una certa classe politica e di ceti popolari che la seguono è oggi infestato da parole ispirate proprio a questi disvalori. La banalità del male si annida in una specie di quotidiana superficialità, con la quale si giustificano le più brutali espressioni verbali, dalle quali ne possono derivare, di banale in banale, le peggiori azioni. Straparlare contro i fantomatici invasori è in sé banale, ma non innocente né inefficace. Dire “prima gli italiani” è come mettere una differenza di dignità fra persone, come distinguere da fame a fame, da morte a morte. Al contrario, chiedere un saggio governo dei fenomeni migratori persegue il bene comune.
Vogliamo contrastare, con le armi della ragione e dell’amore al prossimo, chi usa linguaggi che contengono odio, ma non vogliamo noi stessi odiare chi li usa. Impariamo da Etty Hillesum, che non volle accettare di odiare i nazisti per non abbrutirsi come loro.

(*) direttore “Il Momento” (Forlì-Bertinoro)