Economia e lavoro
Agricoltura fra caporalato e immigrati. Voucher sì, voucher no. A margine dell’Assemblea annuale di Coldiretti abbiamo incontrato il responsabile lavoro dell’associazione, Romano Magrini
Nel nostro Paese sono circa 400mila i lavoratori agricoli a rischio ingaggio irregolare e sotto caporale. Circa 30mila le aziende che ricorrono al caporalato mentre nessuna regione si salva da un business che frutta 4,8 miliardi di euro. Sono i dati emersi dal “Quarto Rapporto Agromafie e Caporalato” presentato dall’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil lo scorso 13 luglio a Roma mentre nella capitale era in corso l’Assemblea annuale di Coldiretti. Di questo ed altro abbiamo parlato, a margine dell’appuntamento, con Romano Magrini, responsabile lavoro dell’associazione.
La legge 199/2016 che ha introdotto il reato di caporalato e la responsabilità penale in capo al datore di lavoro che assume e impiega manodopera sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento è in questi giorni oggetto di critiche da parte di esponenti del governo. Qual è il suo giudizio?
E’ molto importante avere approvato una legge sul caporalato. Noi siamo uno dei pochissimi Paesi ad esserne dotati e, come Coldiretti, l’abbiamo sostenuta fuori e dentro il Parlamento perché riteniamo sia una conquista di civiltà: chi sfrutta i lavoratori, in particolare categorie vulnerabili come gli immigrati irregolari, non è un imprenditore, bensì un delinquente privo di scrupoli. Un criminale che oltretutto fa concorrenza sleale nei confronti delle imprese che hanno scelto la legalità e la trasparenza – e sono la stragrande maggioranza – e che di conseguenza sopportano costi importanti a fronte di un prodotto che quasi mai viene remunerato al giusto prezzo.
Ma si è rivelata efficace?
In novembre saranno due anni dalla sua entrata in vigore; riteniamo che alcuni grandi risultati siano stati ottenuti dal punto di vista penale. Il capo dell’Ispettorato del ministero del Lavoro, Danilo Papa, afferma che sono stati indagati per caporalato oltre un centinaio di pseudo imprenditori. La legge è giovane, ha poco più di un anno e mezzo, dobbiamo darle tempo ma oltre 100 soggetti indagati per reato di caporalato – alcuni tratti in arresto perché presi in flagrante – è un segnale positivo. Da parte delle aziende c’è stato all’inizio un po’ di timore legato agli indici di sfruttamento, ma la legge ci ha dimostrato che non c’è stato nessun abuso nell’applicazione della norma e chi si comporta secondo le regole o commette lievi infrazioni di carattere amministrativo non viene accusato di caporalato. Il timore era che qualche errore procedurale o qualche mancanza nei confronti della legge sulla sicurezza potesse provocare anziché una sanzione misure penali, confische etc.
Quindi?
Come tutte le leggi può essere perfezionata. Sul piano della prevenzione si potrebbe ad esempio
prevedere una premialità, degli incentivi per le imprese “virtuose”
che non sfruttano i lavoratori e scelgono di stare dalla parte della legalità e della trasparenza.
E sul piano del contrasto? Quattro mesi fa si è insediata a Foggia la Sezione territoriale della Rete del lavoro agricolo di qualità, un importante passo in avanti nell’applicazione del provvedimento.
Sì, uno strumento concreto e tangibile. Su Foggia stiamo lavorando con la dottoressa Iolanda Rolli (commissario straordinario di governo per l’area di Manfredonia, ndr) per tentare di avviare azioni concrete di contrasto del caporalato, ma non è semplice, ci vogliono risorse, ci vuole l’impegno di tutti e non tutti sono d’accordo.
Quali azioni?
Importanti iniziative a carattere territoriale. A partire dal trasporto.
Uno degli strumenti più efficaci per combattere il caporalato è garantire ai braccianti un servizio di trasporto pubblico fino ai campi.
Il trasporto di competenza regionale si ferma invece lontano dalle campagne. Per questo viene “appaltato” dai caporali che prelevano i lavoratori dai paesi e li portano nei campi. Prevedere un trasporto pubblico che faccia il giro delle aziende agricole significherebbe tagliare loro le gambe sottraendo loro un business molto redditizio.
E poi il nodo del collocamento, ossia dell’incrocio tra domanda e offerta di lavoro.
Immaginare un tavolo per ragionare e confrontarsi su che cosa possiamo fare di più mi sembra una proposta intelligente.
In Italia 345mila lavoratori immigrati regolari sono una risorsa importante per l’economia agricola nazionale, ha affermato il presidente Moncalvo definendo l’agricoltura “strumento di integrazione”.
Complessivamente i lavoratori agricoli subordinati sul territorio sono 1.200mila distribuiti in più di 200mila aziende agricole. Al loro interno ci sono questi 345mila immigrati regolari che sono diventati una risorsa fondamentale per le nostre imprese. Al nord ad esempio i “bergamini”, cioè gli addetti alle stalle, sono quasi tutti provenienti dall’Europa dell’est, dal Bangladesh o dall’India. Occorre però snellire e velocizzare le procedure burocratiche secondo un criterio di tempestività e disponibilità all’impiego. Oggi i tempi sono troppo lunghi rispetto al bisogno immediato: dalla richiesta del datore di lavoro possono passare mesi con il rischio che il bracciante arrivi quando le raccolte o la vendemmia sono già finite.
In questi giorni si sono inseguiti diversi annunci, anche da parte di esponenti del governo, sulla possibilità di reintrodurre i voucher, ma i sindacati annunciano battaglia. Intanto la provincia di Treviso ne ha prenotati 200mila per la vendemmia ormai alle porte. Lei che ne pensa?
I numeri dimostrano che sono utili. Quando sono stati abrogati nel 2017, su un totale di 138 milioni di buoni lavoro da 10 euro venduti, solo 2 milioni erano stati venduti in agricoltura: l’1,9% . Noi ne abbiamo fatto un uso moderato perché nella legge abbiamo introdotto regole che non consentivano abusi. In agricoltura potevano esserne beneficiari solo tre categorie: pensionati, studenti e cassintegrati e nessuno di questi soggetti comunque doveva essere stato lavoratore agricolo l’anno precedente.Non abbiamo destrutturato il mercato del lavoro tanto che in questi anni è aumentata l’occupazione nel nostro comparto e i voucher sono rimasti due milioni. Non li utilizziamo per pagare i lavoratori agricoli: questi rimangono lavoratori agricoli e il loro contratto di settore non cambia. Chi viene pagato con i voucher – all’interno delle categorie che ho specificato – è un soggetto impiegato occasionalmente e per brevi periodi. Nel nostro comparto non esiste il rischio degli abusi verificatisi ad esempio nell’edilizia o nella ristorazione. Per noi i voucher rappresentano anzi un valido contributo all’emersione del lavoro sommerso.