Reportage da Atene/1
Il 20 agosto la Grecia uscirà dal programma di aiuti della Troika, avviato a maggio del 2010 per evitare la bancarotta. In 8 anni Ue, Fmi e Bce hanno prestato al Paese ellenico ben 288,7 miliardi di euro in cambio di pacchetti di riforme e tagli che hanno colpito tutti i settori della vita sociale ed economica greca, dalla sanità alle pensioni, dal lavoro all’istruzione. “Oggi – dice la direttrice di Caritas Grecia, Maria Alverti – i greci sono stressati e angosciati. Si sentono traditi e abbandonati a se stessi dall’Ue anche davanti alle ondate migratorie”. Altro che usciti dal tunnel…
Piazza Syntagma e piazza Omonia: centrale ed elegante la prima, che si allunga davanti la sede del Parlamento, crocevia di sei strade, caotica, rumorosa e degradata nei suoi ambienti circostanti la seconda. Si potrebbe descrivere anche attraverso le due piazze principali di Atene la crisi della Grecia. Il Paese uscirà il 20 agosto dal programma di aiuti della Troika (Ue, Fmi e Bce), avviato a maggio del 2010 per evitare la bancarotta (cfr. scheda). Popolata di turisti che vanno e vengono dalla stazione della metro, considerata una delle più belle al mondo adornata com’è di marmo e reperti antichi, piazza Syntagma, o della “Costituzione”, incarna il volto della Grecia che vuole tornare ad avere piena cittadinanza nell’Ue a 28, anche per la sua millenaria storia, dopo 8 anni di recessione.
A pochi minuti di strada, piazza Omonia, o dell’armonia, presenta le ferite ancora aperte di questi 8 anni di crisi che nessuno, nella capitale greca, è convinto sia finita. Di armonia non se ne vede molta da queste parti. Non stupisce, quindi, se solo il 2% dei greci – secondo un’indagine Eurobarometro di marzo 2018 – si dica soddisfatto della condizione economica del Paese e se il 50% crede che il peggio della crisi debba ancora venire. Tra i palazzi fatiscenti e malmessi che circondano la piazza si intravedono miseria, saracinesche abbassate e negozi di vario genere che cercano di resistere dignitosamente alle strette fiscali imposte dal Governo per fare fronte agli impegni assunti davanti alla Troika. E così tra tanta gente che si muove per andare a lavoro e guadagnarsi la giornata ce n’è molta altra che staziona sotto portici maleodoranti, tra loro migranti di varie nazionalità ma anche molti greci che hanno perso il lavoro e speranza.
Per loro l’appuntamento fisso è quello con l’unico pasto vero della giornata, servito nella mensa di Caritas Atene, la cui sede si trova a soli 300 metri da piazza Omonia. Si mettono tutti in fila ordinatamente sin dalla mattinata, quando i primi volontari entrano per preparare i pasti. A poco a poco la fila si allunga arrivando a competere con quella delle auto ferme al semaforo della strada davanti. Nessun clacson chiede strada, quasi un segno di rispetto per chi è lì a chiedere un pasto. Fila anche all’interno delle scale che si avvolgono attorno all’ascensore che sale e scende per i sette piani della palazzina che ospitano non solo la mensa, ma anche stanze dove si lavora per accogliere e venire incontro ai bisogni primari di tanta gente che porta sulla pelle i segni della crisi. Qui ci sono anche gli uffici di Caritas Grecia, diretta da Maria Alverti.
“La situazione – esordisce mentre sorseggia quel che resta di un caffè – è difficile. Ancora non riusciamo a camminare da soli. I numeri indicano un’uscita dalla crisi ma la qualità della vita dei greci oggi è peggiorata. Abbiamo fatto e continuiamo a fare tanti sacrifici ma non vediamo luce in fondo al tunnel”. Dopo otto anni di cure drastiche, la Grecia non è guarita dalla sua crisi.
“Non è il cibo che manca – spiega la direttrice generale della Caritas – ma la gente è stressata e angosciata perché non sa come pagare le bollette. La vita di tutti i giorni presenta ostacoli enormi per la mancanza di lavoro, per un sistema sanitario che non offre più cure sanitarie adeguate se non a pagamento, gli stipendi sono stati decurtati, le tasse sono oltre il 60%, abbiamo subito tagli alle pensioni e allo stato sociale.
E il risultato di tutto questo sa qual è?”. Il tempo di un altro breve sorso di caffè e poi la risposta secca:
“I greci hanno perso fiducia nella politica, nei loro governanti e soprattutto nell’Ue”.
Nelle pieghe della crisi economica greca se ne legge un’altra molto avvertita, e non solo in Grecia, le migrazioni: “I greci si sentono traditi dall’Ue non solo per la politiche di austerity imposte al Paese ma anche perché ritengono di essere stati abbandonati a se stessi davanti alle ondate migratorie”. Oggi il fronte di questa crisi migratoria porta il nome delle isole di Lesbos, Chios, Samos, Kos, dove sono stati collocati gli hotspots per la registrazione degli arrivi e dove sono bloccati 13mila dei circa 50mila migranti e richiedenti asilo in Grecia (Fonte: Organizzazione internazionale per le migrazioni).
“La società greca è inerte davanti a tutto ciò e pare non reagire. E così facendo i greci non onorano la loro grande storia. La crescita dell’estrema destra, come il partito Alba dorata, nasce proprio da questo sentimento”.
Ma la colpa della crisi è solo delle politiche Ue, oppure una parte di responsabilità ce l’hanno anche i greci e i loro politici? Questi 8 anni sono serviti a fare un esame di coscienza, diciamo così, nazionale?
“Non abbiamo fatto un esame di coscienza dei nostri errori – risponde Alverti – ma le misure della Troika dovevano essere condivise e non solo imposte. Abbiamo avuto 16 tagli di pensioni, le misure sono state pagate dal popolo non certo dai politici. Adesso stanno provando a ridurre gli stipendi al livello dei Paesi balcanici ma i prezzi aumentano risultando molto più alti di quelli di altre nazioni europee”.
C’è una categoria di persone che oggi in Grecia soffre più di altri la crisi economica?
“I giovani – osserva la direttrice Caritas – sono tra i più vulnerabili. A loro sono affidate le speranze di cambiamento perché istruiti, dinamici e creativi. Ma non possono essere pagati 400 euro al mese, spesso in nero, per lavorare anche fino a 12 ore al giorno. Così non si vive. Non possono essere indipendenti, pagarsi l’assicurazione e spendere per alimentare consumi e commercio. Sono tanti i giovani scoraggiati che hanno per questo motivo rinunciato anche a lavorare.
La gente oggi piange per il benessere di cui godeva prima della crisi.
Questo atteggiamento però è ostacolo alla ripresa perché impedisce, soprattutto ai giovani, di pensare a nuove strade lavorative. Ci sono lavori che, soprattutto quelli più istruiti, non prendono in considerazione. Preferiscono partire: dal 2010 sono emigrati dalla Grecia oltre 500 mila giovani e l’emorragia continua, alla luce di una disoccupazione giovanile che supera il 40%. Il rischio di ritrovarsi un Paese di anziani è reale. E così risanare l’economia e pagare i debiti sarà impossibile”.
Cosa potrebbe servire, ora che si uscirà dal programma di aiuti della Troika, per far ripartire il Paese?
“Delle politiche adeguate a sostegno di una nuova imprenditorialità e la diversificazione degli investimenti. La crisi – evidenzia Alverti – ha messo in moto anche pratiche virtuose di riscoperta dell’agricoltura, di commerci alternativi, di servizi turistici. Assistiamo alla nascita di piccole aziende che cercano di sfruttare le poche possibilità che la crisi e il mercato offrono. Il fenomeno migratorio sta producendo posti di lavoro legati all’indotto dell’accoglienza, come interpreti, mediatori culturali, assistenti sociali e psicologi. Purtroppo le tasse sono una zavorra alla crescita e rischiano di far morire le imprese prima ancora che mettano radici”.
E in attesa di vedere la luce in fondo al tunnel, la Caritas continua il suo impegno a favore dei più poveri e deprivati come raccontano Lisetta Milliari e Stanislao Stouraitis, rispettivamente capo amministrazione e responsabile della promozione di Caritas Grecia. “Lo sforzo è grande – dicono – e la scarsità dei fondi ci obbliga a trovare nuove forme di finanziamento dei progetti. Ai nostri benefattori chiediamo un ulteriore aiuto. Siamo partiti con un ufficio composto da 5 persone ma con l’arrivo dei migranti siamo diventati 135, tra volontari e impiegati. Portiamo avanti i progetti sostenuti da diverse Caritas europee, quella italiana su tutte. Il loro sostegno non si limita all’aspetto finanziario ma anche a quello della pianificazione”. Ma adesso sale una paura:
“Ci sono associazioni che taglieranno i loro fondi una volta che saremo usciti dal programma della Troika. Pensano erroneamente che non avremo più bisogno. Ma non è così. I bisogni restano e resteranno ancora a lungo”.
Basta scendere le scale della palazzina per rendersene conto: la gente è in attesa davanti i vari uffici di consulenza della Caritas, la fila per mangiare si è allungata a dismisura. A fine servizio la mensa avrà servito oltre 500 pasti, più altri 100 per i bambini. La luce in fondo al tunnel è ancora troppo lontana.