Giovani
Per cambiare le cose e migliorare la propria condizione, si passa solo attraverso la via stretta della fatica, dello studio, dell’impegno… e della passione. Ce lo ricorda, in modo esemplare, Sammy Basso, il giovane vicentino affetto da “progeria” o “sindrome da invecchiamento precoce”, che si è laureato il 17 luglio scorso in Scienze naturali, all’Università di Padova. Piccolo particolare, il voto: 110 e lode
È uscita il 13 luglio scorso l’indagine Istat sui “Livelli di istruzione della popolazione e i ritorni occupazionali”, aggiornata al 2017. Il primo dato che salta agli occhi è quello relativo ai cittadini italiani che hanno ottenuto un diploma di scuola superiore, considerato “il livello indispensabile per acquisire le competenze di base richieste nella società attuale e ragionevolmente anche nella futura”. In Italia si stima che il 60,9 per cento della popolazione di età compresa tra i 25 e i 64 anni abbia un titolo di studio superiore, ma il valore è distante da quello medio europeo, che si aggira attorno al 77 per cento.
Un secondo dato è la quota di titoli “terziari”, cioè il numero di laureati in Italia: qui il divario diventa ancora più vistoso. Nonostante gli sforzi fatti, l’Italia è penultima in Europa per numero di laureati: solo il 18,7 per cento degli italiani di un’età compresa tra i 25 e i 64 anni possiede un titolo di studio universitario, mentre la media europea si aggira attorno al 31 per cento. I tassi di occupazione tra i laureati sono più alti rispetto alle altre categorie e pertanto la laurea continua ad essere una buona garanzia di accesso al lavoro. Forse il dato più inquietante, però, è quello che riguarda i “Neet” (dall’inglese: “Neither in employment nor in education and training”), cioè quei giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano, non studiano e non sono impegnati in percorsi formativi: al 2017, in Italia sono 2 milioni e 189 mila (il 24 per cento del totale), contro la media europea che si attesta al 13 per cento.
Le differenze territoriali si fanno sentire: mentre nel Nord Italia sono circa il 16 per cento, nelle Regioni centrali si arriva al 20 e al Sud addirittura al 34 per cento. Ciò significa che nel Mezzogiorno più di un giovane su tre non studia e non lavora. I giovani Neet sono “fuori” sia dal sistema formativo sia dal mercato del lavoro: “Il protrarsi di questa condizione – afferma l’Istat – può comportare il rischio di concreta difficoltà di reinserimento”, vale a dire che rischiano di perdere uno dopo l’altro tutti i treni per trovare un lavoro e assumere una posizione attiva (e costruttiva) all’interno della società. Questo è un problema gravissimo: un problema per questi giovani, certo, ma anche per l’intera società, che perde linfa vitale. Resta preoccupante – ecco il quarto dato – l’alto tasso di abbandono scolastico: la quota di giovani tra i 18 e i 24 anni che hanno abbandonato precocemente gli studi è pari al 14 per cento. Le differenze territoriali negli abbandoni scolastici sono molto forti e non accennano a ridursi: il 18,5 per cento del Mezzogiorno, contro circa l’11 del Centro e del Nord.
Se a questo quadro si aggiungono i dati dell’emigrazione – sì, l’emigrazione! – degli Italiani all’estero, non c’è da stare tranquilli. Nel 2016 in Italia si sono registrate quasi 160mila cancellazioni anagrafiche per l’estero: sono soprattutto persone con alto livello di istruzione a lasciare il Paese e la fascia d’età in cui si registra la perdita più marcata è quella dei giovani tra i 25 e i 39 anni (circa 38mila). Ciò significa che l’Italia non riesce a trattenere adeguatamente competenze e professionalità: è il fenomeno definito come “fuga di cervelli”. Sono questi i problemi che dovrebbero trovare massima priorità tra gli impegni del Governo e del Parlamento (e di tutta la società italiana). Si vedrà in tempi brevi se il cosiddetto “decreto-dignità” – il decreto-legge emanato il 12 luglio scorso – saprà avviare soluzioni adeguate, come i partiti di maggioranza affermano con ostentata sicurezza. Un articolo del decreto merita indubbiamente il plauso: è il numero 9, che vieta ogni forma di pubblicità relativa ai giochi e alle scommesse. Potrebbe trattarsi di una piccola rivoluzione che costringe, ad esempio, il mondo del calcio a rivedere molte cose, come la pubblicità e i finanziamenti.
Ci auguriamo che l’articolo 9 impedisca efficacemente la diffusione di una mentalità fatalista, che vede nelle scommesse – e quindi nel colpo di fortuna – la via per risolvere i propri guai. Si sa che non funziona così. Se lo mettano bene in testa quanti buttano al vento il proprio stipendio (o pensione), giocando con le diaboliche macchinette o in altre varie forme! Per cambiare le cose e migliorare la propria condizione, si passa solo attraverso la via stretta della fatica, dello studio, dell’impegno… e della passione. Ce lo ricorda, in modo esemplare, Sammy Basso, il giovane vicentino affetto da “progeria” o “sindrome da invecchiamento precoce”, che si è laureato il 17 luglio scorso in Scienze naturali, all’Università di Padova. Piccolo particolare, il voto: 110 e lode.
(*) direttore “L’Azione” (Vittorio Veneto)