Politica
Quello che è accaduto recentemente con la nomina di 21 uomini (su 21 posizioni disponibili!) per i posti di “membri laici” del Csm, dei consigli di garanzia delle magistrature amministrativa, tributaria, contabile, e per un posto di giudice costituzionale è un segnale grave che non può essere sottaciuto
La nuova legislatura così come è uscita dalle urne e così poi come si è configurata dovrebbe essere, a detta di molti, la legislatura del cambiamento. I fatti diranno quanto l’aspettativa troverà adeguata soddisfazione. Compito nostro è anche monitorare, passo dopo passo, quello che accade per capire se e in quale direzione si orienta l’eventuale cambiamento.
In questo senso quello che è accaduto recentemente con la nomina di 21 uomini (su 21 posizioni disponibili!) per i posti di “membri laici” del Csm, dei consigli di garanzia delle magistrature amministrativa, tributaria, contabile, e per un posto di giudice costituzionale è un segnale grave che non può essere sottaciuto.
Le donne impegnate in magistratura, con professionalità e passione riconosciute, sono nel nostro Paese oramai più della metà. Nonostante questo a nessuno (nei due rami del Parlamento) è venuto in mente di dare voce alla parte femminile.
La cosa che impressiona è che quanto è accaduto non è frutto della scelta della maggioranza, ma è stata invece bipartisan, trasversale. È come dire che la questione parità uomo-donna, se non c’è qualche vincolo esplicito e formale che lo impedisca, viene bipartisan derubricata. Insomma la parità entra se proprio siamo costretti. È questo il fatto da segnalare. Viene naturale non porsi il problema di dare giusta e sacrosanta rappresentanza all’altra metà del cielo.
Ecco dunque che è quanto mai preziosa l’iniziativa presa da sessantacinque donne professori ordinari e associati di diritto costituzionale, pubblico e comparato, socie dell’Associazione italiana dei costituzionalisti che hanno scritto ai presidenti di Camera e Senato ricordando che in realtà la norma di riferimento c’è ed al massimo rango. L’articolo 51 della Costituzione infatti “assicura a uomini e donne il diritto di accedere in condizioni di uguaglianza agli uffici pubblici e che, a tal fine, affida alla Repubblica il compito di adottare appositi provvedimenti”. Il segnale che viene dalle Camere (il più importante organo di rappresentanza della nostra democrazia) è dunque di un cambiamento all’indietro, una grave regressione che, volendo, andrebbe psicanalizzata. Abbiamo assistito a una sorta di maschilismo di ritorno che ha contagiato tutto l’arco costituzionale. Bel cambiamento davvero!
La speranza è che i presidenti di Camera e Senato colgano l’occasione per un dibattito serio al riguardo, partendo dalla consapevolezza che è importante fare le leggi che favoriscono la parità uomo-donna in tutti gli ambiti, ma se questo non è accompagnato con una maturazione culturale diffusa anche le leggi sono insufficienti.
(*) direttore “La Voce dei Berici” (Vicenza)