Scalabriniani

Giovani volontari tra i lavoratori migranti delle campagne di Foggia

Nelle campagne foggiane, luoghi di caporalato e sfruttamento tornati tristemente all’onore delle cronache, centinaia di giovani stanno vivendo il campo “IoCiSto” insieme ai lavoratori migranti stagionali di Borgo Mezzanone. L’iniziativa è promossa, da oltre vent’anni, dall’Agenzia scalabriniana per la cooperazione allo sviluppo. Dal 21 luglio al 25 agosto trascorrono una settimana all’insegna dello slogan “Integra.azione”.

Sono più di 150 i giovani italiani che stanno partecipando in queste settimane all’esperienza “IoCiSto” insieme ai lavoratori migranti stagionali di Borgo Mezzanone, nelle campagne della Capitanata di Foggia. Luoghi di caporalato e sfruttamento che in questi giorni sono riemersi all’attenzione delle cronache con i due incidenti stradali che hanno provocato 16 vittime tra i braccianti agricoli e una giornata intera di sciopero e cortei l’8 agosto a Foggia, per chiedere dignità nel lavoro. A promuovere l’iniziativa, da oltre vent’anni, sono i missionari scalabriniani, notoriamente in prima linea nell’impegno con i migranti. Nello specifico si tratta del programma ViaScalabrini3 dell’Agenzia scalabriniana per la cooperazione allo sviluppo. L’iniziativa di quest’anno, dal 21 luglio al 25 agosto, propone a giovani e adulti di associazioni, parrocchie o singoli, di trascorrere una settimana all’insegna dello slogan “IntegrAzione”.

Il luogo simbolico per vivere questa esperienza altamente educativa è la periferia del piccolo Borgo Mezzanone, chiamato la “pista”, perché durante la guerra nei Balcani era un aeroporto della Nato. Ora è sede di un agglomerato informale con migliaia di giovani lavoratori da Senegal, Mali, Costa D’Avorio, Burkina Faso, Ciad. È alle spalle del sovraffollato Cara (Centro accoglienza richiedenti asilo), che ospita 800/1.000 persone. La zona di Borgo Mezzanone è cresciuta a vista d’occhio dopo lo sgombero, lo scorso anno, del “gran ghetto” di Rignano Garganico, sempre in provincia di Foggia. Tante persone della vicina borgata hanno stretto relazioni con gli abitanti della baraccopoli e costruito una fiducia reciproca. I giovani partecipanti al campo hanno così occasione di conoscere da vicino la realtà dei lavoratori migranti e stringere amicizie, facendo volontariato nella scuola di italiano e nella ciclofficina.

 

Padre Luis tra i giovani volontari e i lavoratori migranti

Per vivere l’incontro tra coetanei. “L’idea che ci accompagna è quella dell’instaurare relazioni tra coetanei – spiega padre Jonas Donassollo, scalabriniano, punto di riferimento dell’iniziativa -. I giovani potranno scegliere di incontrare altri coetanei migranti, richiedenti asilo o rifugiati attraverso la scuola di italiano, utile per migliorare lo strumento principale di integrazione nel paese, o attraverso la ciclofficina, spazio di lavoro fatto insieme che aiuta a condividere la vita al di là delle parole. Il tutto è mobile, come l’umanità che i giovani incontreranno: scuola e ciclofficina andranno lì dove vi sono migranti”. Si tratta, prosegue, di

“un’occasione rara per toccare con mano la condizione dei migranti che vivono e lavorano in quella parte di Italia,

e porsi nei panni di una piccola comunità autoctona che sta cercando di vivere ogni giorno e da decenni, con fatica, l’accoglienza ed integrazione di altre persone che, spesso con distacco, se non disprezzo, chiamiamo stranieri”.

La ciclofficina – foto: IoCiSto

Cosa rimane alla fine dell’esperienza? I feedback dei giovani sono pieni di entusiasmo, passione e motivazione. “Da questo viaggio ritorno con i vestiti sporchi, la stanchezza sul viso e un po’ di tristezza nel cuore – racconta Carola Caivano, ventenne di Chieri -. Ogni giorno è stato pieno di emozioni positive e negative, ma sempre molto intense e forti. Da questo campo mi porto dietro la voglia di imparare ad amare ogni giorno, perché nessuno dovrebbe essere giudicato in base al proprio Paese, ma piuttosto in base a quello che porta dentro il proprio cuore”. Anche Alessandra Ribis dice di tornare a casa “con graffi e lividi, con scarpe sporche di terra, con l’odore della pista sui vestiti, con pantaloncini sporchi di grasso di bicicletta”. “Torno a casa con la consapevolezza che lì ho lasciato un pezzo di cuore – dice -. Torno a casa con la gratitudine di aver vissuto un’esperienza forte, a volte dolorosa, ma che ci accompagnerà da qui in poi. Torno a casa con qualche abilità in più in fatto di meccanica, e con la gioia di averli incontrati. Ci rimarremo, in questa cosa qui”. Certamente una settimana del genere, chiosa padre Jonas,

“rimette in discussione le certezze, scuote il ‘modus vivendi’ di tutti i giorni nel profondo

ed offre la possibilità di approfondire le dinamiche sottostanti al più grande fenomeno umano della nostra modernità e non solo, quale è la migrazione”.