Tragedie
Una lunga serie di fatti di cronaca ha funestato questo periodo. È un’estate da dimenticare, quindi? Oppure un periodo da cui trarre comunque qualche insegnamento?
È l’Italia dei disastri. Quella che emerge da questa estate 2018 pare una stagione costellata di tragedie. Ricordo solo le ultime, quelle che ho ancora vive nella memoria e che l’uragano comunicativo in cui veniamo di continuo centrifugati non ci ha già fatto dimenticare.
Prima di tutto la doppia disgrazia accorsa a gruppi di migranti, lavoratori sfruttati nei campi della Puglia per la raccolta dei pomodori. Trasportati come carne da macello, sono morti a decine in due incidenti stradali suscitando sdegno e scandalo per le condizioni pietose in cui vivono, lavorano e vengono trasportati sui luoghi della loro quotidiana nuova schiavitù.
Poi è stata la volta di Bologna e della voragine in autostrada, nei giorni del grande traffico estivo. Qui il disastro è stato evitato per la grande perizia di chi per primo è intervenuto. Poteva essere un’ecatombe, invece la generosità e anche l’intuito italico ancora una volta hanno evitato il peggio. Un solo morto (è sempre tanto) e un buco enorme nello snodo autostradale più importante del Paese. Anche l’arcivescovo Zuppi ha parlato di intervento della Provvidenza, visto ciò che sarebbe potuto accadere.
A funestare l’estate c’è stato il crollo del viadotto Morandi, nel cuore di Genova. La città tagliata in due, 43 vittime, centinaia di sfollati, il traffico in tilt, i collegamenti tra est e ovest della Liguria da ripensare. Insomma, un evento da mettere tra le pagine nere della nostra storia recente, con coda di polemiche a non finire, scarico delle responsabilità, ricerca di colpevoli.
E anche di dichiarazioni a caldo per risolvere tutto e subito circa i mille e mille ponti di cui è costituita la nostra rete stradale, autostradale e ferroviaria. Un impegno enorme da realizzare, da mettere in campo con urgenza, ma che comunque non potrà mai garantire del tutto la sicurezza che i cittadini reclamano.
Infine è arrivata la piena del torrente Raganello nel parco del Pollino, in Calabria. Un’escursione in uno dei luoghi più ambiti della provincia di Cosenza si è trasformata in una trappola mortale per dieci persone.
Questa è la cruda e dura cronaca, ma è con essa che occorre confrontarsi. È un’estate da dimenticare, quindi? Oppure un periodo da cui trarre comunque qualche insegnamento? Il primo è che dobbiamo smettere di illuderci di poter vivere al riparo da pericoli. Certo, occorre che si faccia di tutto per scongiurare che accadano eventi luttuosi evitabili. In ogni caso, sarebbe bene non dimenticare che non siamo noi i padroni della nostra vita, nonostante qualcuno voglia farcelo intendere. Perché, come ricorda il Vangelo di Luca “se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa”.
(*) direttore “Corriere Cesenate” (Cesena-Sarsina)