Società
Da tempo nel Paese la comunità, tanto quella nazionale quanto quella locale soffre, in non poche occasioni appare sfaldata, in difficoltà a esprimere un’anima unitaria. Spesso sembra che il motto che tanti fanno proprio sia “Ognuno per sé, Dio per tutti” a sottolineare che in questa postmodernità più di qualcuno pensa che occuparsi normalmente delle “proprie” cose sia già molto.
A livello individuale questa estate l’Italia è andata davvero alla grande. Dal “Nobel” per la matematica, a quello per la fisica matematica, per arrivare alla pioggia di medaglie femminili e maschili nel nuoto. Se poi ci aggiungiamo la grande dedizione personale di vigili del fuoco e personale di soccorso nella tragedia di Genova abbiamo in sintesi, in poche settimane, la conferma che le eccellenze individuali abbondano nel Belpaese. A queste potremmo sicuramente aggiungere molte eccellenze “quotidiane”, del territorio, delle nostre comunità ecclesiali, del tessuto produttivo, del mondo culturale. È la forza dell’Italia che ci permette di competere a livello planetario.
Diverso è il discorso se consideriamo la nostra comunità. Lì, non da oggi, notiamo crepe, fatiche, fratture. Riusciamo a compattarci di fronte alle tragedie (gli esempi purtroppo sono numerosi e il più recente non può non fare riferimento a quanto accaduto nel capoluogo genovese). Ancora, siamo uniti di fronte ai successi sportivi dove il tricolore vince superando differenze e rancori.
Da tempo però nel Paese la comunità, tanto quella nazionale quanto quella locale soffre, in non poche occasioni appare sfaldata, in difficoltà a esprimere un’anima unitaria. Spesso sembra che il motto che tanti fanno proprio sia “Ognuno per sé, Dio per tutti” a sottolineare che in questa postmodernità più di qualcuno pensa che occuparsi normalmente delle “proprie” cose sia già molto.
Ma come, qualcuno obietterà, e il tanto volontariato nel quale donne, uomini, giovani e meno giovani mostrano una dedizione encomiabile agli altri? Certo c’è ed è molto, ma non argina questo senso di disgregazione che rappresenta una delle cifre (certo non l’unica, ma sicuramente una pesante) della nostra convivenza civile. Molte le ragioni che spiegano un vissuto che non nasce certo oggi. Uno dei motivi fondamentali è il venir meno progressivo della fiducia reciproca. Una domanda che mi ha colpito di uno dei propritari delle case sotto il ponte, di fronte alla prospettiva di rientrare è stata: “Come possiamo fidarci ancora dei tecnici?”.
Nel Vicentino il tracollo della Popolare è stato un altro episodio che ha minato, in molti, la fiducia negli altri, nelle istituzioni. Eppure non c’è ripresa vera, senza un recupero di fiducia. Per indebolirla basta un singolo fatto, costruirla e ricostruirla è invece un percorso lungo e faticoso che dipende da ciascuno di noi. In tale prospettiva anche la nostra Chiesa che si sta ripensando nel territorio, ridisegnando anche i confini stessi delle comunità, può dare un contributo essenziale al recupero di questo elemento fondamentale. Nessuno può dire: “Non mi riguarda”.
(*) direttore “La Voce dei Berici” (Vicenza)