Qui Italia
Rancore, insoddisfazione, violenza verbale, conflitto sociale e istituzionale. Ma è proprio questo il volto del Paese? E quale potrebbe essere il suo futuro? Intervista a tutto campo con il presidente dell’Azione cattolica Matteo Truffelli
“Tra sogno e realtà. Mario Fani e i 150 anni di Ac: una scelta profetica” è il tema del convegno che l’ Azione Cattolica italiana promuove il prossimo 8 settembre a Viterbo, nell’ambito del percorso di celebrazione e approfondimento del secolo e mezzo di vita dell’associazione. Con i suoi contributi di riflessione e il suo impegno per il bene comune, l’Ac è sempre presente nel dibattito pubblico caratterizzato, oggi come non mai, da rancore, strumentalizzazioni, violenza verbale. Abbiamo chiesto al presidente nazionale Matteo Truffelli una “lettura” dell’attuale scenario politico e sociale e l’indicazione di alcune piste di lavoro.
Sta per concludersi un’estate “tormentata” mentre sembra prevalere l’idea che governare significhi contrapporre interessi esasperando, anziché sanare, le fratture sociali. Qual è il suo stato d’animo di fronte a questo scenario?
Preoccupato. Per un Paese attraversato da un crescente senso di rancore e insoddisfazione. Un Paese che sembra voler dimenticare la propria identità profondamente solidale e che si divincola in continue polemiche portate avanti a forza di tweet. Dibattiti molto spesso sconnessi dalla realtà e che ci tengono a bagnomaria, immersi in una campagna elettorale permanente che non lascia spazio alcuno per il confronto reale, per la concreta e seria azione amministrativa, per l’assunzione di scelte mirate al cambiamento. Per la buona politica, insomma.
Indubbiamente la coalizione nazional-populista ha vinto perché ha saputo intercettare e far leva sulle paure degli italiani. Tuttavia, il contrapporre italiani e stranieri, nord e sud, giovani e anziani, esigenze nazionali e responsabilità europee dove può portare?
Il rischio è quello di smarrire le ragioni del nostro stare insieme. Di perdere il senso, e anche il gusto, di progettare il futuro in maniera condivisa. Come nazione, ma anche come Europa, come umanità. Oggi parlare di “unità della famiglia umana”, come ci hanno insegnato Giovanni XXIII e il Concilio, può sembrare quasi una provocazione, una di quelle aspirazioni che con facilità ma anche con cinismo vengono sbrigativamente liquidate come “buoniste”. Ma non è così:
o il futuro che ci attende sarà un futuro comune, pensato e costruito insieme, o sarà un futuro dominato dall’ingiustizia e dalla violenza. Un futuro disumano.
Il dibattito sembra essere monopolizzato in questi giorni dal tema migrazioni – il caso Diciotti appena risolto anche grazie all’intervento della Cei – e dalla battaglia di responsabilità per il crollo del ponte Morandi a Genova. Su quest’ultimo punto nei giorni scorsi il card. Gualtiero Bassetti, presidente dei vescovi italiani, in una riflessione sul Settimanale de L’Osservatore Romano, invitava ad una “vicinanza fattiva, operosa, intima, silenziosa e non rabbiosa, senza fomentare odi ideologici, senza atti di sciacallaggio politico e desideri di vendette”…
Lascia attoniti, in queste vicende, il grado di strumentalità con cui da una parte e dall’altra vengono affrontate questioni serie, drammatiche, enormi, riducendole a opportunità per segnare un punto a proprio favore o polemizzare con gli avversari. I grandi problemi che abbiamo davanti ci chiedono invece di rimboccarci le maniche e metterci al lavoro, ciascuno con il proprio bagaglio di idee e proposte, ma anche con la disponibilità a non demonizzare chi la pensa diversamente da noi.
Con un sussulto di umanità, di generosità, di senso della giustizia.
Con riferimento al crollo del viadotto, ma anche ad altri tragici fatti di cronaca che hanno insanguinato l’estate come il tamponamento con esplosione del Tir a Bologna o la strage dei braccianti sulle strade delle Puglia, qualche commentatore ha parlato di un elemento comune: l’indebolimento della presenza dello Stato e della sua funzione essenziale, attraverso le sue articolazioni, di controllo e sanzione. Che ne pensa?
Sicuramente gli italiani hanno bisogno di ritrovare fiducia nello Stato, nelle istituzioni. Una fiducia che è messa alla prova non solo da questi avvenimenti, ma anche dalla inadeguatezza dell’azione pubblica in tanti ambiti della vita della comunità, penso ad esempio a certe zone franche delle nostre città, o al potere della criminalità organizzata tanto al Sud quanto al Nord. Le istituzioni si devono sentire fortemente interpellate da questa richiesta, e così anche le forze politiche che quelle istituzioni sono chiamate a governare.
Ma lo Stato siamo innanzitutto noi, cittadini.
E la forza delle istituzioni dipende innanzitutto dal senso delle istituzioni che sappiamo coltivare e condividere tra noi: rispettando le regole, esercitando il senso della responsabilità civica, pagando le tasse, dando vita a un dibattito pubblico civile e non carico d’odio.
Nell’articolo già citato, il card. Bassetti invita fra l’altro ad “una responsabilità condivisa” e ad “un impegno civile costante e duraturo” chiedendo non solo di “ricucire” il tessuto sociale sfilacciato ma anche di “ripensare l’Italia e in qualche misura rifarla”. A quale compito sono chiamati i cattolici e, in particolare, come si sente interpellata l’Ac?
Penso che i cattolici italiani, e tra essi anche l’Azione cattolica, siano chiamati a mettere a disposizione del Paese il patrimonio grande di idee, valori ed esperienze di cui sono partecipi. Non si tratta di cercare o rivendicare uno spazio, ma di concorrere alla elaborazione di proposte buone per il Paese, traducendo in pensiero e azione politica la ricchezza e la creatività delle tantissime iniziative e delle tante preziose realtà generative che formano il tessuto del cattolicesimo italiano. Un mondo vitale, che però non deve commettere l’errore di rinchiudersi nel proprio recinto, ma preoccuparsi innanzitutto di farsi promotore di alleanze, per il bene dell’Italia.