Scontri a Tripoli
L’accordo per il cessate il fuoco a Tripoli è stato annunciato dalla Missione delle Nazioni Unite in Libia in un un tweet pubblicato sull’account ufficiale. Mira a “porre fine a tutte le ostilità, proteggere i civili, salvaguardare la proprietà pubblica e privata”. L’apprezzamento dei governi di Francia, Italia, Regno Unito e Stati Uniti
Dopo nove giorni di scontri a Tripoli, con almeno 60 morti e 159 feriti, è stato raggiunto un accordo per il cessate il fuoco, grazie alla mediazione della Missione delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil). L’attacco al Governo di accordo nazionale di Fayez al-Sarraj, sostenuto dai governi di Francia, Italia, Regno Unito e Usa, è stato sferrato dalla Settima brigata di Tarhouna, una città a 60 km a sud di Tripoli. I governi occidentali apprezzano, ovviamente, il risultato della mediazione Onu, e chiedono in una dichiarazione congiunta il rispetto del cessate il fuoco. Secondo alcuni osservatori gli scontri degli ultimi giorni potrebbero essere motivati dalla volontà di affossare le elezioni previste entro fine anno, che legittimerebbero il governo Sarraj. Intanto, in questa situazione di caos, gli 8.000 migranti rinchiusi nei centri di detenzione hanno maggiori difficoltà ad avere accesso a cibo e cure mediche. Circola anche la notizia che 2.000 migranti africani sarebbero fuggiti da un centro di detenzione vicino all’aeroporto di Tripoli. Alcuni migranti, informano le agenzie dell’Onu, sono stati liberati dai centri ma “successivamente sono stati catturati dai gruppi armati e costretti a lavorare per loro”. Almeno 800 migranti sarebbero stati ricollocati in un centro di detenzione più sicuro, perché in pericolo a causa degli scontri.
L’accordo per il cessate il fuoco a Tripoli è stato annunciato ieri (4 settembre) dalla Missione delle Nazioni Unite in Libia in un un tweet pubblicato sull’account ufficiale. Mira a “porre fine a tutte le ostilità, proteggere i civili, salvaguardare la proprietà pubblica e privata”. Sarà riaperto anche l’aeroporto internazionale di Meitiga a Tripoli, chiuso da quando è esplosa la violenza, una settimana fa. L’accordo, informano le Nazioni Unite, è stato firmato da rappresentanti del Governo di accordo nazionale (Gna), da comandanti militari, apparati di sicurezza e gruppi armati presenti a Tripoli e dintorni.
https://twitter.com/UNSMILibya/status/1037069194767093760
Colpito anche un operatore umanitario. Il portavoce dell’Unhcr, Charlie Yaxley, parlando con i giornalisti a Ginevra, ha riferito che che l’uso di armi pesanti e bombardamenti nei quartieri civili ha “causato morte, distruzione e sfollati, e questo è motivo di grande preoccupazione”. Secondo l’Ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite (Ohchr), un operatore umanitario che cercava di aiutare a fuggire i civili intrappolati in un quartiere sarebbe stato colpito da colpi di arma da fuoco, mentre uno dei gruppi armati coinvolti avrebbe confiscato tre ambulanze.
Gli aiuti delle agenzie Onu. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e l’Unhcr stanno intensificando le loro risposte ai bisogni umanitari, distribuendo farmaci per traumi a 200 casi critici, con altre 2.000 unità in standby e 10 squadre mobili per le emergenze nelle zone dei combattimenti. L’Unhcr sta anche aiutando le famiglie che hanno cercato riparo in una scuola locale. “Ai medici e agli altri operatori sanitari deve essere permesso di muoversi liberamente in modo che possano salvare vite umane senza ritardi e senza rischi per la loro sicurezza personale”, ha affermato Syed Jaffar Hussain, capo dell’Oms in Libia. I blocchi stradali impediscono infatti alle ambulanze di prestare assistenza sanitaria ai feriti.
8.000 migranti in pericolo. Le agenzie dell’Onu segnalano inoltre che è stata colpita anche una struttura di detenzione per migranti. “Stiamo monitorando da vicino la situazione in coordinamento con la Direzione libica per la lotta contro la migrazione illegale e le agenzie delle Nazioni Unite, per fare in modo che tutti i rifugiati e i migranti siano trasferiti in un posto più sicuro”, ha affermato Yaxley dell’Unhcr. Secondo i rapporti delle Nazioni Unite, circa 8.000 migranti sono detenuti arbitrariamente nei centri di detenzione nelle aree dei combattimenti, senza accesso a cibo o cure mediche.