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Sinodo. Padre Costa: “Riconoscere dove e come sono i giovani”

A meno di un mese dal Sinodo convocato da Papa Francesco sui giovani, padre Giacomo Costa, segretario speciale, fa il punto sulla posta il gioco. “Riconoscere dove e come i giovani sono”, l’imperativo. “Né con Gesù, né con la Chiesa”, il rischio da scongiurare, per un evento la cui portata “coinvolge tutta la Chiesa”

“Un evento che coinvolge tutta la Chiesa”, e che chiede agli adulti un supplemento di ascolto, per “riconoscere dove e come i giovani sono”. A meno di un mese dal Sinodo sui giovani, che si aprirà il 3 ottobre in Vaticano, abbiamo fatto il punto con padre Giacomo Costa, nominato dal Papa segretario speciale, insieme a don Rossano Sala.

Padre Giacomo Costa

C’è molta attesa per il terzo Sinodo di Papa Francesco: qual è il valore della posta in gioco?
Sicuramente c’è molta attesa tra coloro i quali, dentro la Chiesa, lavorano con i giovani. E anche tra questi ultimi c’è senz’altro interesse e curiosità, come dimostrano i diversi eventi promossi durante il percorso preparatorio. Tuttavia,

sarebbe ingenuo non rilevare che, a livello mediatico, di opinione pubblica e forse anche in ampi settori della stessa Chiesa, questo Sinodo rischia di essere sostanzialmente ignorato, a differenza di quanto è avvenuto per i due sulla famiglia.

Sarebbe un’occasione persa perché la posta in gioco è davvero alta: questo incontro infatti richiede di affrontare la questione dei rapporti tra le generazioni, ripensando il presente in modo che lasci spazio al futuro. È un tema chiave per tutta la nostra società. Per la Chiesa, poi, è vitale capire come continuare a incidere sulla realtà: non solo e non tanto per garantirsi un futuro come istituzione, ma perché ne va della trasmissione del messaggio evangelico che rappresenta la sua ragion d’essere.

Tra le novità, il Sinodo sui giovani ne annovera una di metodo: sono i giovani stessi che, insieme ai vescovi, partecipano e sono stati esplicitamente chiamati dal Papa a parlare di loro con “parresia”…
È stata sinora una delle sorprese più belle nella mia esperienza come segretario speciale. Nei questionari compilati online ma soprattutto nella riunione presinodale dello scorso marzo,

i giovani – rispondendo all’invito di Papa Francesco – si sono sentiti molto liberi di esprimere le loro aspirazioni e di dire ciò che pensano della Chiesa,

mettendo sul tappeto numerosi problemi legati alla comunicazione, al linguaggio, alla credibilità, all’inclusione delle differenze. Allo stesso modo tante Conferenze episcopali hanno coraggiosamente ammesso le proprie difficoltà e resistenze nel loro rapportarsi ai giovani. Questa dinamica ha reso la preparazione al Sinodo un processo di reale incontro e ascolto tra generazioni. Insomma, possiamo dire che, secondo le indicazioni di papa Francesco,

da evento, il Sinodo si sta trasformando in processo.

Se il Sinodo rimane ufficialmente “dei vescovi”, proprio per il loro ruolo di pastori, non può non diventare un evento che coinvolge tutta la Chiesa. Naturalmente si tratta di un’evoluzione che non è ancora terminata e che proseguirà anche dopo ottobre. In un certo senso il post-Sinodo sarà importante almeno tanto quanto il Sinodo, perché saranno le varie comunità ecclesiali a dover scegliere come passare all’azione, in linea con l’esortazione post-sinodale di Papa Francesco.

Giovani con Gesù ma senza la Chiesa: è uno dei paradossi denunciati dal Documento preparatorio: come colmare questo “gap”?
In realtà la situazione rilevata durante il percorso preparatorio, in particolare con il questionario online, è persino più radicale… Anche Gesù a volte è sentito dai giovani come lontano, quasi un supereroe che però non ha molto a che fare con la vita ordinaria.

Rischiamo, quindi, che i giovani siano “né con Gesù, né con la Chiesa”…

Ma non è un distacco irreversibile: molti giovani continuano a essere portatori di domande e di sensibilità autenticamente spirituali, e non sono pochi quelli che cercano una Chiesa autentica e relazionale, che sia vicina e lasci trasparire nei suoi gesti concreti la speranza di Gesù risorto. La questione investe allora la capacità della Chiesa e dei suoi rappresentanti di presentarsi come interlocutori credibili dei giovani. Molti adulti continuano a fare riferimento in modo più o meno irriflesso ai percorsi e alle situazioni in cui sono cresciuti, dove l’appartenenza era data per scontata o ricevuta dall’alto e comunque un punto di partenza. Oggi questo senso di appartenenza è un punto di arrivo che deve essere costruito e scoperto da ciascuno attraverso un percorso di apprendimento dall’esperienza e non può prescindere da relazioni interpersonali autentiche. In questo senso il “discernimento” – cioè la rilettura di quanto si è vissuto e si sta vivendo per identificare, in dialogo con il Signore, i successivi passi da compiere – può essere d’aiuto.

La sfida del Sinodo è scoprire all’interno della tradizione spirituale e teologica della Chiesa quelle ricchezze che possano consentirle di sintonizzarsi anche con la mentalità di questa epoca, così da poter continuare a mostrare la rilevanza e la vitalità del messaggio evangelico per ogni generazione.

Quali sono le resistenze che la “Chiesa adulta” deve superare, per andare incontro alle loro attese?
Oltre alle difficoltà – immaginabili – a lasciare effettivamente uno spazio ai giovani e a valorizzare le forze e gli entusiasmi che li caratterizzano, credo che

la sfida principale per la Chiesa oggi sia riconoscere dove e come i giovani sono già li che ci precedono e ci aspettano,

e ci indicano i segni del Signore risorto. Ci chiediamo sempre come la Chiesa può aiutare i giovani, quante volte ci interroghiamo su come i giovani possono aiutare la Chiesa? Mi riferisco ad esempio alla presenza nel nuovo “continente digitale”.
Per compiere questa “conversione” è fondamentale entrare nella prospettiva dei giovani, nel loro modo di fare, che ad esempio significa – che piaccia o no a noi adulti – una priorità della concretezza e dell’operatività rispetto alle analisi e alle discussioni. Più che invitare i giovani a grandi convegni, raduni e catechesi, è quindi opportuno mettersi concretamente a “fare” delle cose con loro. Infine, come i giovani stessi chiedono ripetutamente, bisogna avere il coraggio di non rifiutare mai il confronto e il dialogo: per i giovani il pluralismo, anche radicale, delle differenze, rappresenta un dato di fatto con cui si confrontano quotidianamente.