Politica

Decreto Salvini: dalla società civile un coro di critiche, “alimenta irregolarità e insicurezza e viola i diritti”

Tutti sono preoccupati per i rischi che deriveranno dalla restrizione di un sistema di accoglienza come lo Sprar, considerato un modello in Europa, dall’abrogazione della protezione umanitaria e dall’estensione del periodo di trattenimento delle persone in situazione irregolare da 90 a 180 giorni nei Centri per i rimpatri

Un coro di proteste contro il cosiddetto “Decreto Salvini” su immigrazione e sicurezza si è levato in questi giorni dalla società civile. Dalle organizzazioni umanitarie cattoliche e laiche, dalle associazioni, dalle Chiese, tutti contestano l’abbassamento dei diritti dei richiedenti asilo e la criminalizzazione dei migranti, avendo unito in un unico testo i temi che riguardano la gestione del fenomeno migratorio e la sicurezza. Tutti sono preoccupati per i rischi che deriveranno dalla restrizione di un sistema di accoglienza come lo Sprar, considerato un modello in Europa, dall’abrogazione della protezione umanitaria e dall’estensione del periodo di trattenimento delle persone in situazione irregolare da 90 a 180 giorni nei Centri per i rimpatri.

Nel mondo cattolico… Gli Scalabriniani, missionari in prima linea con i migranti, lo ribattezzano il “decreto (in) sicurezza” soprattutto per “la congiunzione immotivata con il tema dell’immigrazione, in esso contenuto: unire i problemi della sicurezza interna dell’Italia, più ampi di quanto realmente generato dal fenomeno migratorio – si pensi solo alla criminalità organizzata o alla violenza imperante in molte periferie cittadine – appare la sintesi di una visione distorta”. “Un passo indietro che criminalizza i migranti e rende il Paese meno sicuro e più fragile”, denuncia il Centro Astalli, il centro dei gesuiti per i rifugiati con sede a Roma, preoccupato per gli effetti “sulla vita dei migranti e sulla coesione sociale dell’intero Paese”. Negativo è anche il potenziamento dei grandi centri per richiedenti asilo “che, come ampiamente dimostrato, non prevedendo alcun coinvolgimento delle amministrazioni locali, incontrano resistenze e ingenerano tensioni sociali”. Anche per le Acli, queste norme “rischiano di creare ancor più irregolarità di quella già esistente”, “senza risolvere il problema della regolazione dei flussi”. Le Acli considerano alcuni provvedimenti vere e proprie “violazioni del diritto internazionale, ad esempio l’abolizione della protezione umanitaria, che si vorrebbe sostituire con un criterio assolutamente arbitrario, come quello dei meriti civili”.  Acat Italia, l’Azione dei cristiani per l’abolizione della tortura, si dice sorpresa del fatto che “nonostante i numeri e le statistiche parlino chiaro e denotino come ci sia un calo notevole degli arrivi sul suolo italiano”, il decreto “evoca lo spettro di un’emergenza che non esiste e che condannerà donne e uomini innocenti a vedersi negati diritti fondamentali”. La Fondazione Casa della carità di Milano avverte: “Ancora una volta si è scelto di seguire una logica meramente securitaria e di ordine pubblico, con il rischio di penalizzare la stessa condizione di immigrato”. Anche secondo la Casa della carità “l’abolizione del permesso di soggiorno per motivi umanitari avrebbe come prima conseguenza l’aumento del numero degli immigrati irregolari”.

foto SIR/Marco Calvarese

Tra le organizzazioni umanitarie il Cir, Consiglio italiano per i rifugiati mette in guardia: “Si deterioreranno pesantemente livello di protezione, sistema di accoglienza e possibilità di integrazione”. Secondo il Cir il decreto “mira a creare irregolarità non certo a gestire l’immigrazione. Togliere la possibilità di rilasciare un permesso umanitario a un richiedente asilo che ha compiuto un percorso di integrazione, trovando un lavoro e concorrendo positivamente al benessere generale, è una previsione che va contro ogni buonsenso”. Medici senza frontiere è molto preoccupata per “le conseguenze sulla salute e la dignità di migliaia di persone”, visto che il provvedimento “sembra orientato a smantellare ulteriormente il sistema di accoglienza italiano, già fragile e precario, a prolungare la detenzione amministrativa di persone che non hanno commesso alcun crimine, e a ridurre le protezioni attualmente disponibili per persone vulnerabili”. “Le politiche di accoglienza – afferma l’organizzazione – dovrebbero essere orientate a ridurre la sofferenza e a facilitare l’integrazione, non a criminalizzare e rendere ancora più vulnerabili persone che hanno un disperato bisogno di aiuto. Ma oggi il governo concentra tutti i suoi sforzi nello smantellare il sistema di assistenza e di soccorso dei migranti, come dimostra anche l’ultimo tentativo di fermare Aquarius, l’unica nave umanitaria rimasta a salvare vite nel Mediteranno centrale”. Anche Medici per i diritti umani (Medu) lo valuta in modo “estremamente negativo”: “Un provvedimento ideologico e pericoloso ma soprattutto poco intelligente poiché ostacolerà l’integrazione ed accrescerà l’insicurezza”. L’Arci è convinta che questa sia “una pagina nera per la nostra democrazia, che avrà conseguenze negative anche per le amministrazioni locali”. Per il Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (Cnca) il decreto “scaricherà problemi enormi sui territori. Con la faccia feroce non si governano i fenomeni”.

Fortemente critiche anche la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei) e Csd-Diaconia valdese, che giudicano il decreto “una picconata al diritto d’asilo e alla tradizione umanitaria italiana”. “Sotto il cappello generico della sicurezza – affermano i responsabili delle due organizzazioni protestanti, impegnate nell’accoglienza di migranti e richiedenti asilo – si approvano norme che limitano gravemente il diritto d’asilo, arrivando a ridimensionare la protezione umanitaria con la quale decine di migliaia di persone hanno potuto ricostruire la loro vita in Italia, sfuggendo a violenze e persecuzioni nei loro paesi, o in quelli di transito come la Libia”. “La possibilità di costringere i richiedenti asilo in strutture chiuse di tipo carcerario fino a sei mesi – secondo la Fcei – criminalizza persone vulnerabili proprio nel momento in cui avrebbero invece più diritto alla protezione e a un’azione integrata di soccorso”.