Chiesa italiana
Quello di Stefano Russo è un inizio di vita nuova cui andar dietro senza paura. Che miglior modo allora di sperimentare l’anno pastorale sotto il segno della santità, come ci veniva annunciato dallo stesso vescovo nell’individuazione di un tema che vuole dare una sterzata ed una traiettoria ad un popolo che non smette di seguire e di camminare
La notizia ormai è risaputa ed un settimanale cartaceo finisce sempre per arrivare in ritardo nell’inseguire storie da copertina o eventi di rilievo. Si tratta di andare oltre la notizia. Che in questo caso è la nomina del nostro vescovo mons. Stefano Russo a segretario generale della Cei. Qualcosa di inaspettato, una sorpresa autentica. Palesatasi alle 11.20 di venerdì 28 settembre.
Il vescovo mi ha chiamato, mentre ero in macchina con Andrea Tornielli, vaticanista de “La Stampa”, tra i relatori del corso di formazione giornalistica organizzato con “L’Azione”, insieme allo stesso Russo.
“Sono il nuovo segretario della Cei”, mi ha detto quasi incredulo. Ed io, per tre volte, mentre lui mi ribadiva quanto aveva appreso dal cardinale Bassetti, continuavo a ripetere che si stava trattando di uno scherzo, che non ci potevo credere, conoscendo anche la sua vena ironica. Poi basta. Ho capito che il Signore aveva agito. E lo aveva scelto. Il corso a San Silvestro nel pomeriggio, pur dentro il classico tourbillon mediatico tra taccuini, microfoni e telecamere, è andato via come programmato con la gioiosa novità dell’ospite illustre, che ha mantenuto sempre il suo proverbiale equilibrio e la sua inscalfibile discrezione. Pregi, non mancanze, aperture, non inciampi. Poi la fatica di imbastire un’intervista in episcopio in un’infinita scia di trilli e di messaggi, (…) centinaia e centinaia, servizio a singhiozzo, interrotto dalle ripetute telefonate di congratulazioni da ogni angolo d’Italia. Stancante, forse, ma bello a vedersi. Un segno di stima, una testimonianza di riconoscenza per un presule che è riuscito a farsi amare in questo breve arco di tempo, poco più di due anni. Come quando aveva rimesso piede nella sua Ascoli Piceno nella veste di parroco, per poi ritrovarsi nel giro di due mesi già vescovo.
Tutto così in fretta, il Signore chiama senza chiedere se uno si sia ambientato o se si stia trovando bene. O se ha bisogno di più tempo. Non ci sono condizioni. Dire sì è forse la prova più grande di un’appartenenza alla Chiesa e di un affidamento ad un cammino di grazia. Ora la diocesi, in un’immancabile clima di festa, si interroga sul suo futuro, come se in questo momento fosse la cosa più decisiva. Lo è, certo, ma non lasciamoci sopraffare dall’emotività del presente, dalla preoccupazione per il domani. E riascoltiamo quello che ci ha detto don Stefano subito dopo l’annuncio: “Non so quanto resterò alla guida della diocesi, ma sono ancora il vescovo di Fabriano-Matelica”. Aspettiamo che il Papa da Roma, ora che inizia il Sinodo, ci aiuti a spiegare il senso di questo disegno più grande, magari incarnandolo in volti, situazioni, circostanze più precise. Per un momento fermiamoci all’oggi, senza correre freneticamente e nevroticamente ad immaginare quello che potrà essere come prossimo scenario.
L’oggi vede don Stefano Russo come nuovo segretario generale della Cei, un fremito giustificato di orgoglio, una refrigerante ventata di ricchezza umana e spirituale, un pungolo di responsabilità per la città, per la diocesi, per un territorio, per tutta una comunità che deve stringersi intorno alla sua guida che non ha assolutamente perso, ma che deve sentire proprio ora più vicina che mai. Nella concretezza della preghiera, nella ricerca della condivisione, nella necessità di uno sguardo unitario. Nella nostra terra, spesso confusa, spaventata, a volte cinica, un incarico così importante di un pastore di casa diventa lavoro ed impegno per tutti, gratificazione per ognuno, opportunità di ripresa e di rilancio. Ripetendo lo slogan di quei sessantottini che anelando una rivoluzione tout court, gridavano “Vogliamo tutto”. È l’urgenza di ogni uomo, una voce all’altezza del desiderio di infinito che siamo. Un grido impossibile oggi. Ma di cui possiamo ancora risentirne l’eco, nella sfida che riparte da quel venerdì pomeriggio con una nomina da far tremare i polsi. Il sì è la sola risposta capace di colmare questo bisogno insaziabile di compimento.
Quello di Stefano Russo è un inizio di vita nuova cui andar dietro senza paura. Che miglior modo allora di sperimentare l’anno pastorale sotto il segno della santità, come ci veniva annunciato dallo stesso vescovo nell’individuazione di un tema che vuole dare una sterzata ed una traiettoria ad un popolo che non smette di seguire e di camminare. Un’intuizione profetica.
(*) direttore “L’Azione” (Fabriano-Matelica)