Cinema
Tre pellicole “di peso” alla festa capitolina: il mélo Usa sui diritti degli afroamericani “Se la strada potesse parlare” di Barry Jenkins, la tragedia del sottomarino russo “Kursk” a firma del danese Thomas Vinterberg e il dramma familiare “Beautiful Boy”, esordio a stelle e strisce per il belga Felix Van Groeningen
Festa del Cinema di Roma, quarto giorno di proiezioni. Tre film di peso passano nella festa capitolina domenica 21 ottobre: il mélo Usa sui diritti degli afroamericani “Se la strada potesse parlare” di Barry Jenkins, la tragedia del sottomarino russo “Kursk” a firma del danese Thomas Vinterberg e il dramma familiare “Beautiful Boy”, esordio a stelle e strisce per il belga Felix Van Groeningen. Ecco il punto del Sir e della Commissione nazionale valutazione film della Cei (Cnvf).
“Se la strada potesse parlare”
Dopo l’Oscar per “Moonlinght” nel 2017, Barry Jenkins torna al cinema scrivendo e dirigendo “Se la strada potesse parlare” (“If Beale Street Could Talk”), ispirato dal romanzo di James Baldwin. Ancora una storia di diritti e rivendicazioni per la popolazione afroamericana negli Stati Uniti: Harlem anni ’70, gli appena maggiorenni Alonzo e Tish si innamorano, incontrando però non poche difficoltà sul loro cammino. Alonzo viene accusato di un crimine che non ha commesso e Tish inizia una lunga battaglia per farlo scarcerare, scoprendo anche di essere incinta.
“In questa nuova opera – commenta Massimo Giraldi, presidente della Cnvf – Jenkis mostra una chiara crescita artistica. È la conferma di una maturità espressiva e stilistica che lo porta a confezionare un film di grande emozione e di forte compattezza narrativa. L’amore contrastato e il desiderio di giustizia che vivono i due protagonisti richiama il recente ‘Loving’ di Jeff Nichols, ma potrebbe essere accostato benissimo al dramma shakespeariano ‘Giulietta e Romeo’. Una prova convincente e di grande spessore, che si candida alla corsa dei principali premi della stagione”.
Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come complesso, problematico e adatto per dibattiti.
“Kurks”
Regista danese classe 1969, Thomas Vinterberg si è imposto all’attenzione internazionale con “Festen” (1998), confermando poi grande abilità e versatilità con “Il sospetto” (2012) e “Via dalla pazza folla” (2015). A Roma ha presentato “Kursk”, imponente produzione targata Belgio-Lussemburgo, che ricostruisce le ultime drammatiche ore dell’equipaggio del sottomarino russo K-141 Kursk nell’incidente dell’agosto del 2000 nel Mare di Barens, durante un’esercitazione. Il film prende le mosse dal libro “A Time to Die” scritto da Robert Moore e vede nel cast Matthias Schoenaerts, Léa Seydoux, Colin Firth e Max von Sydow.
“Vinterberg – osserva Sergio Perugini, segretario della Cnvf – realizza un film imponente e disperante, che descrive con estremo realismo gli avvenimenti che portarono all’affondamento del sottomarino Kursk, così come i tentativi dei marinai a bordo di resistere all’agonia. In più, il film rimarca con chiarezza le mancanze nelle operazioni di soccorso da parte della flotta russa. Le teorie in merito sono tante, ma quello che resta, e che Vinterberg ci ricorda, è la grande tragedia umana e il senso di impotenza, di frustrazione, vissuto dalle famiglie in attesa di un segnale di speranza. Un’opera dura, intensa, glaciale”.
Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come complesso, problematico e adatto per dibattiti.
“Beautiful Boy”
Ha convinto critica e pubblico con lo struggente “Alabama Monroe” (“The Broken Circle Breakdown”, 2012) il regista belga Felix Van Groeningen. Ora è alla prova del cinema americano con un altro mélo familiare tratto da una storia vera, “Beautiful Boy”. Il film si ispira, infatti, ai libri biografici di David e Nic Sheff, padre e figlio che raccontano in prima persona la caduta nella dipendenza da droghe. Nic (Timothée Chalamet) ha da poco compiuto 18 anni e all’improvviso manifesta ai genitori separati, in particolare al padre David (Steve Carrell), comportamenti ribelli dettati dall’uso di droghe. Tanti i tentativi di elaborare il problema, entrando e uscendo da cliniche rehab.
“Argomento certamente di chiara attualità tra i giovani dell’America di oggi – dice Giraldi – affrontato con forte realismo da Felix Van Groeningen. Il tema viene svolto con grande padronanza, rivelando le elevate capacità del regista, soprattutto nell’addentrarsi nelle pieghe dell’animo dei protagonisti, nel tessuto familiare. Il film però non ha una grande visione personale; è privo di quello sguardo poetico e originale che aveva colpito nel precedente film dell’autore. Un’opera valida per il modo in cui affronta il problema, che rimane sostanzialmente un’occasione mancata”.
“Elemento centrale nell’economia del racconto – aggiunge Perugini – è l’interpretazione di Steve Carrell e Timothée Chalamet, che abitano i personaggi con intensità, sofferenza e notevole realismo. Molteplici le sfumature che mettono in campo i due attori, ma queste da sole non bastano a far decollare l’opera. Va ribadito, infatti, che si tratta di un film efficace, convincente, ma che si accontenta di poco sul piano stilistico-narrativo, rischiando di confondersi nell’ampio filone su tale argomento, esplorato negli anni ‘80-’90”.
Dal punto di vista pastorale, il film è complesso, problematico e adatto certamente per dibattiti.