L'intervista
Sulla carta è stata raggiunta, nella realtà no. La parità uomo – donna è ancora lontana, soprattutto nel mondo del lavoro. Intervista con Marta Rodriguez (Regina Apostolorum), secondo la quale occorre “un nuovo paradigma”. E anche nella Chiesa “occorre portare la voce delle donne”
“Il mondo del lavoro ha bisogno del contributo sia della donna sia dell’uomo, in una logica complementare”. Non ha dubbi Marta Rodriguez, direttrice Istituto di studi superiori sulla donna dell’ Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, (Upra), e responsabile Ufficio Donna del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, intervenuta al convegno “ll ruolo della donna nella società”, promosso il 23 ottobre alla Pontificia Università Lateranense. A margine dell’incontro l’abbiamo intervistata.
Quale contributo può offrire la donna al mondo del lavoro?
Nell’ottobre 2017, rivolgendosi ai membri della Pontificia Accademia per la vita, papa Francesco ha parlato di un’alleanza attraverso la quale uomini e donne devono prendere in mano insieme la regia della società e del mondo, perché il mondo ha bisogno anche dell’apporto specifico della donna, diverso ma complementare a quello dell’uomo. In ambito lavorativo le donne sono in grado di offrire, più degli uomini, il valore aggiunto derivante dalle soft skills, competenze non propriamente professionali ma piuttosto relazionali e gestionali, considerate strategiche. Non sono un’esclusiva femminile, ma nelle donne hanno una prospettiva più ampia legata a un tratto fondamentale del nostro essere: la maternità. Indipendentemente dal fatto che abbia o meno figli biologici, la capacità della donna di farsi spazio per l’altro la rende portatrice di una particolare sensibilità non solo nel lavoro di cura ma, in senso più ampio, all’interno delle dinamiche del mondo del lavoro, dell’economia e della politica.
Eppure il modello lavorativo è ancora improntato a logiche, modalità e tempi maschili.
Che spesso costringono la donna a rinunce dolorose. Per questo occorre un cambiamento di paradigma, peraltro già in atto. Il mondo del lavoro e dell’impresa si sta infatti trasformando, un’evoluzione sintetizzabile nel modello industria 4.0 secondo il quale il lavoro non è più pensato in termini di orari fissi ma piuttosto di obiettivi; si parla di smart working, quindi di maggiore flesibilità; si è introdotto il telelavoro. E’ cambiato il nostro modo di lavorare e continuerà a modificarsi. Noi però vorremmo
un cambiamento di paradigma fondato sulla centralità della persona intesa come valore assoluto,
principio che deve orientare e misurare ogni dinamica economica, politica e sociale. Dobbiamo superare la frattura tra etica ed economia, renderci conto che la logica del solo profitto non è economicamente sostenibile e che solo rispettando e valorizzando il capitale umano la rivoluzione tecnologico-industriale potrà condurre ad uno sviluppo integrale. In questo scenario, penso che portando sul tavolo della discussione sia le esigenze concrete delle famiglie, sia, più in generale, quelle sensibilità e capacità di cercare soluzioni e prospettive diverse che le sono proprie,
la donna possa contribuire ad umanizzare il mondo del lavoro.
Difficilmente però, anche se molto qualificate, le donne arrivano ai vertici delle imprese. Ancora oggi, in Italia circa l’87% dei manager è uomo
La parità formale uomo – donna non si traduce in parità sostanziale. Nel nostro Paese, a pari responsabilità un uomo guadagna in media il 12,7% in più. La scorsa primavera abbiamo concesso il patrocinio del Dicastero ad un’iniziativa di Federmanager, “L’altra dimensione del management”. In quell’occasione sono stati evidenziati gli ostacoli alla base di questo gap di genere: difficoltà legate in parte a retaggi culturali, in parte all’impossibilità reale per la donna di conciliare famiglia e lavoro. Per superarle occorre una rivoluzione culturale e un effettivo “work-life balance”.
Concretamente che significa?
Flessibilità spazio-temporale, welfare all’interno dell’azienda, lavoro concepito in funzione degli obiettivi rivoluzionando i modelli organizzativi, capacità di misurare il raggiungimento di questi obiettivi. Nella provincia di Trento è stato istituito uno strumento per rendere le imprese family friendly. Si chiama “Family audit” e prevede azioni orientate al benessere dei dipendenti e delle famiglie, misure che hanno avuto impatti positivi sia sul lavoratore sia sull’azienda. Dove viene adottato, diminuiscono astensionismo e incidenti; aumentano produttività, engagement e benessere dei dipendenti; migliorano le dinamiche aziendali e il clima generale.
In questo convegno si è parlato del ruolo della donna nella società. Nella Chiesa qual è o quale dovrebbe essere?
Papa Francesco insiste molto sulla necessità che tutta la Chiesa valorizzi il contributo femminile. Credo però – e parlo non come voce del Dicastero vaticano ma quale responsabile dell’Istituto di studi del Regina Apostolorum – che il tema “donna nella Chiesa” sia una punta di lancia che chiama ad un rinnovamento che va oltre la questione stessa della donna perché ci costringe ad una riflessione sul ruolo dei laici. La donna pone la domanda, ma la risposta la supera spingendoci ad approfondire il tema nello spirito della “Lumen gentium”: attraverso la condivisione dello stesso battesimo tutti costituiamo il popolo di Dio e il corpo mistico della Chiesa. E’ una chiamata ad approfondire l’antropologia della differenza sessuale. Con la “Lettera alle donne” e con la “Mulieris dignitatem”, Giovanni Paolo II ha lasciato una bellissima eredità, un tesoro di visione dell’uomo e della donna ancora non sufficientemente sviluppato a livello antropologico. Dobbiamo educare uomini e donne al rapporto sessuato, ossia alla capacità di accogliere l’altro nella sua alterità offrendo ciò che siamo senza imporlo all’altro e senza averne paura. Questo vale per i sacerdoti, per le religiose, per le donne che lavorano nelle strutture ecclesiali. Il Papa mette in guardia dal pericolo del clericalismo. C’è una sorta di paura da parte di alcuni sacerdoti verso le donne, a volte a ragione perché non sempre queste sanno dare il proprio contributo senza invasioni di campo. Per questo occorre un’educazione a crescere nel rapporto reciproco, nella consapevolezza che la presenza dell’uno non toglie forza all’altro ma al contrario lo rafforza e valorizza. Si tratta di una grande opportunità per la Chiesa, che ha parlato molto delle donne ma non sempre ha parlato “con” le donne.
Bisogna portare la voce delle donne nella Chiesa, non perché sia migliore di quella maschile, ma semplicemente perché manca.