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L’Istituto superiore di sanità ha presentato la prima indagine epidemiologica sul gioco d’azzardo, nell’ambito dell’accordo scientifico con l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. Maurizio Fiasco, consulente della Consulta nazionale antiusura, oltre a definire la ricerca “esplorativa”, ne propone un’analisi, con criticità e aspetti utili. Soprattutto avverte sui rischi dell’azzardo per famiglie, giovani e anziani
L’Istituto superiore di sanità (Iss) ha presentato la prima indagine epidemiologica sul gioco d’azzardo, nell’ambito dell’accordo scientifico con l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. L’indagine ha scattato una fotografia ampia del fenomeno. Chiediamo a Maurizio Fiasco, consulente della Consulta nazionale antiusura, una valutazione della ricerca.
Professore, quali sono gli elementi più preoccupanti tra quelli emersi?
Tra gli italiani maggiorenni che risultano aver giocato almeno una volta in un anno – circa 18 milioni e mezzo di persone – quelli che hanno provato sporadicamente sarebbero 13 milioni e 435mila. Ma la massa del consumo dell’anno 2017 – cioè 101 miliardi e 850 milioni – si deve ai 5 milioni e 100mila cittadini “abitudinari”. E pur sempre “a rischio”. Qui gli estensori del report sembrano voler attenuare l’allarme, sostenendo che “solamente” un milione e mezzo sono “problematici”. E gli altri sono “a basso rischio” (due milioni) o “a rischio moderato” (un milione e 400mila). Come dire, qualcuno si espone al sole con un cenno di eritema, qualcun altro con scottature e i restanti sono ustionati. E perciò, cari dermatologi, preoccupatevi solo di questi ultimi.
Quanto pesa tutto ciò sulle famiglie e sulla società?
In misura direttamente proporzionale alla frequenza dell’azzardo e, stando ai dati, al profilo di rischio. Sempre seguendo il report, si nota che un milione e mezzo di famiglie è in gravi difficoltà, perché i “giocatori problematici” hanno fatto precipitare le coppie, i bambini e gli anziani conviventi sotto la soglia di povertà. Chi si occupa di assistere le persone con dipendenza da azzardo denuncia che, oltre al paziente “designato”, ci sono 7-8 persone che patiscono le conseguenze dell’abuso di gioco pubblico con denaro e per denaro. La sofferenza è dunque per l’intero “sistema famiglia”. Poi, si può ragionare sugli anziani pensionati. Quando reagiscono alla solitudine bruciando subito la pensione, vanno considerati “problematici” o “a rischio moderato”?
Le conseguenze sull’economia, l’occupazione e la legalità sono ancora ben poco sottolineate. Ma pesano, eccome, sulla stagnazione produttiva e sulla disoccupazione in Italia.
Cosa la lascia perplesso dell’indagine? E cosa invece le sembra interessante e utile?
Un quesito semplice: può un’Agenzia (Monopoli) che ha per mandato regolare diffondere il gioco d’azzardo (che avviene in 51 modalità distinte: dalle lotterie alle sale Vlt, dai gratta e vinci all’on line) essere il committente-proprietario di una ricerca, che si vorrebbe “epidemiologica”, ma è in realtà “esplorativa”? Non vi è conflitto d’interesse, quando i premi di produttività sono assegnati “per obiettivo raggiunto”, cioè per ricavi erariali? Il ministero della Salute ha la mission di contenere il rischio sanitario. L’ente di scopo quella di “incrementare l’economia dei giochi” (espressione che si trova in diverse passate direttive annuali dei ministri dell’Economia). Controprova? Nel questionario alla base dell’indagine vi sono quesiti tipici delle ricerche di mercato: con quali concessionari giochi? E quanto spendi con questo, quell’altro e l’altro ancora marchio di fabbrica e piattaforma? La rilevazione delle somme impiegate, incrociata con il profilo dell’intervistato e la “preferenza di marca”, fa il resto. Una replica più raffinata di quanto avviene da anni per l’azzardo on line. La Sogei (società del Mef per il digitale) raccoglie i dati dei tre milioni e mezzo di giocatori registrati e li trasmette a un istituto del Politecnico di Milano, che li fornisce con analisi di profilo (marketing) ai concessionari. Che ovviamente pagano per il servizio ricevuto. Il bello è che tali dati non pervengono al ministero della Salute! Che peraltro ne ricaverebbe – a costo zero – una chiara e incontrovertibile epidemiologia del gioco “problematico”.
È invece interessante constatare quanto ampia è la popolazione che impiega reddito, le differenze tra regioni, l’appesantimento del consumo nelle fasce sociali più svantaggiate. A questo punto lancerei una richiesta: il ministero della Salute acquisisca il data base e lo metta a disposizione – seguendo procedure di sorveglianza e garanzia dell’interesse pubblico e di rispetto della persona – della comunità scientifica e, ancor più, della vasta rete di associazioni, servizi pubblici, non profit che s’impegna seriamente nell’assistenza e nella solidarietà. Vediamo cosa ne deriverà.
Secondo l’indagine, ci sono anche 700mila ragazzi, tra i 14 e i 17 anni, che giocano e 70mila sono già problematici…
A rigore, nessun minorenne dovrebbe partecipare al gioco “a soldi”. Ma la capillarità dell’offerta e il marketing che presenta loro come gioco di abilità-sfida una pratica che è tutta devoluta al caso attraggono indubbiamente un popolo vasto di ragazzi.
Quel “solo” che “ridimensiona” i 70mila problematici è francamente grottesco.
Qui la pubblicità è determinante. Mentre assistono a una partita di calcio in tv i ragazzi sono continuamente sollecitati a scommettere. Viene sabotata, così, la stessa narrazione della sfida del match della squadra del cuore. La giornata di campionato, con la sua epica, cede il passo al trastullo triste di attendere l’esito di un’azione, di un frammento sul quale si sono puntati soldi.
Non mancano gli anziani tra i giocatori. Per loro quale strategia dissuasiva può rivelarsi valida?
Una misura molto semplice: elevare la soglia d’accesso a slot machine, lotterie e 10 e Lotto (sostituto del Lotto tradizionale, peraltro scivolato a tre estrazioni settimanali). Riproporre una procedura ritualizzata di accesso. Meglio ancora far uscire gli anziani dal ghetto e restituire loro una presenza sociale, nei quartieri e nelle famiglie.
Il numero verde istituito può essere un aiuto concreto?
Se è associato a un reale servizio di prossimità che aiuti il contatto tra persona che chiama e l’operatore dell’area psicosociale. Insomma,
siamo all’anno Uno della predisposizione di un’offerta di assistenza che non si limiti a messaggi simbolici.