Festività religiose
“Quest’anno dalla Festa induista ci arriva un grande messaggio di pace che impegna ognuno di noi a qualunque religione e a qualunque parte di umanità appartenga, a creare una cultura di pace e di convivenza”. È l’augurio formulato da mons. Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone e presidente della Commissione ecumenismo e dialogo della Cei, agli induisti che oggi anche in Italia celebrano il Dipavali, la Festa della Luce. “Vediamo che c’è oggi una violenza diffusa, verbale, che è entrata in politica e si è insinuata anche nei rapporti sociali”, osserva Svamini Hamsananda Ghiri, dell’Unione induista italiana. “Il messaggio è quello di scegliere di essere non violenti, di percorrere la via di dialogo e della pacificazione”
Oggi si accenderanno in Italia tantissime luci, dalla Val Padana alla Sicilia, per ricordare che “il Divino che è in noi deve risplendere con la luce della conoscenza sconfiggendo l’oscurità dell’ignoranza e della violenza”. Questo il “significato spirituale” della Festa della Luce, Dipavali, che gli induisti presenti nel nostro Paese celebrano il 7 novembre. Ad indicarlo al Sir è Svamini Hamsananda Ghiri, vice presidente dell’Unione induista italiana. La parola Dipavali significa “fila di luci” ed è una festa riconosciuta ufficialmente in Italia. Si celebra nelle varie famiglie, scambiandosi doni e riconciliandosi con le cose negative che sono successe, rinsaldando i rapporti familiari, di comunità. “Un piccolo gesto che parte dalla famiglia e si riverbera nella comunità, nella società, nel tempio”.
Il tema scelto quest’anno dall’Unione induista italiana per la celebrazione della Festa, è “Satyagraha: non violenza e verità, le forze del bene comune”, ispirandosi ai 150 anni della nascita del Mahatma Gandhi, che si ricorderanno il prossimo anno (2 ottobre 1869). “Abbiamo scelto questo tema – spiega Svamini Hamsananda Ghiri – perché vediamo che c’è oggi una violenza diffusa, verbale, che è entrata in politica e si è insinuata anche nei rapporti sociali. Il messaggio è quello di scegliere di essere non violenti, di percorrere la via di dialogo e della pacificazione. Siamo circondati di oscurità. Sembra che i tempi oggi si sovrastino e che non sia più possibile fare scelte di pace. E invece abbiamo il dovere di tenere accesa la luce. Il Mahatma Gandhi ci ha insegnato che per mantenere i nostri ideali vivi, bisogna combattere. La violenza è l’arma dei deboli ed ha vita breve, mentre la non violenza è la luce che illumina l’umanità”.
Il “popolo della luce” nel nostro Paese è composto da 150mila induisti, per la maggior parte immigrati (provenienti dai Paesi dell’Estremo Oriente, India, Pakistan, Sri Lanka, ecc.) con una presenza di italiani che hanno scelto di approfondire lo studio e la pratica della religione induista. Monasteri, comunità e templi sono oggi diffusi in quasi tutte le regioni italiane. Dopo un lungo iter, nel 2012 il Parlamento italiano ha ratificato con loro l’Intesa e da allora il Dipavali o Diwali, Festa della luce, è riconosciuta in Italia come festività religiosa ufficiale. L’Unione induista italiana, in collaborazione con l’Ambasciata dell’India, ha proposto a Roma un’intera giornata dedicata alla cultura indiana e il 5 novembre si è svolta la celebrazione della Festa della luce al Senato.
Agli induisti è arrivato anche l’augurio dei vescovi italiani. A formularlo è mons. Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone e presidente della Commissione ecumenismo e dialogo della Cei. “Quest’anno dalla Festa induista ci arriva un grande messaggio di pace che impegna ognuno di noi a qualunque religione e a qualunque parte di umanità appartenga, a creare una cultura di pace e di convivenza”. Facendo quindi riferimento al Mahatma Gandhi, il vescovo Spreafico osserva: “È il messaggio di un uomo che con la non violenza ha ottenuto una nuova condizione per il suo Paese mostrando al mondo e alla storia che la via della non violenza non è un cedimento al male ma è l’unica via possibile di vittoria per un mondo migliore, ancor di più oggi in questo tempo difficile”.
“Le armi – prosegue – sono quelle che noi continuiamo a vendere nonostante il male e la morte che diffondono, ma sono anche le armi della parola, dei post che lanciamo sui social contro gli altri, degli insulti che esprimiamo. Rischiamo così di farci inghiottire in una spirale di odio e aggressività che genera una società violenta, fomenta la rabbia, impedisce una convivenza pacifica”. In un simile contesto, la festa induista fa emergere un messaggio di speranza. “Le Luci che sono state accese in questi giorni per la festa induista – osserva Spreafico – ci dicono che in ogni essere umano – e per noi cristiani, questo è fondamentale – c’è l’immagine di Dio. Non dimentichiamo mai che al di là della paura che l’altro, diverso da noi, ci può mettere, c’è l’immagine di Dio. Che la luce accesa in questi giorni ci aiuti a illuminare nell’altro ciò che ci unisce non quello che ci separa. Nessuno rinuncia alla propria identità ma mai può mai essere utilizzata per fare la guerra agli altri”.