Convegno

100 anni dalla Grande Guerra. P.Ardura: “Riflettere sulle conseguenze per costruire un futuro di pace”

Si apre domani, alla Pontificia Università Lateranense, il convegno internazionale di studi sul tema: “Santa Sede e cattolici nel mondo postbellico”, organizzato dal Pontificio Comitato di Scienze Storiche. Padre Ardura: “Per la Chiesa la guerra è stata una grande prova, ma anche l’opportunità per dare il via a profondi cambiamenti”. Tuttavia, il prezzo da pagare è stato troppo alto: una lezione da imparare, se si vuole costruire un futuro di pace. Tra i relatori del convegno, anche il card. Parolin

“Proporre una visione panoramica delle conseguenze dalla guerra”: questo, spiega al Sir padre Bernard Ardura, presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, l’obiettivo principale del convegno internazionale sul tema “Santa Sede e cattolici nel mondo postbellico (1918-1922)”, organizzato dall’Organismo Pontificio per il centenario della conclusione della prima guerra mondiale. I lavori si aprono domani, 14 novembre, alla Pontificia Università Lateranense, dove proseguiranno anche il giorno successivo. L’ultimo giorno, il 16 novembre, la sede dei lavori sarà l’Accademia di Ungheria. Tra i partecipanti, studiosi provenienti dalle Università di Italia, Francia, Belgio, Ungheria, Slovacchia, Russia, Polonia, America Latina. A tenere un intervento su: “Le sfide della diplomazia vaticana dopo la Prima guerra mondiale” sarà il segretario di Stato, card. Pietro Parolin.

Padre Ardura, perché è importante riflettere sulla Grande Guerra, un secolo dopo?
Cento anni dopo la fine di uno dei conflitti più sanguinosi d’Europa è venuto il tempo di riflettere non soltanto sulla fine delle ostilità, ma anche sulle conseguenze del conflitto e dei Trattati di pace, tuttora ancora presenti sullo scenario europeo e medio orientale.

Molte delle piaghe che fanno soffrire ancora oggi tantissime persone e popolazioni hanno, infatti, origine nella conclusione della guerra e nelle trattative di pace, la più nota delle quali è il Trattato di Versailles del 28 giugno 1919.

Scompaiono tre grandi imperi dopo la caduta della Russia zarista nel 1917: il Reich tedesco creato proprio a Versailles nel 1871, l’Impero Austroungarico, impero cattolico per antonomasia, l’Impero Ottomano che copriva una vasta area, dai Balcani al Vicino Oriente. Nascono alcuni nuovi Stati con nuove frontiere: Ungheria, Turchia, Cecoslovacchia, Jugoslavia, Repubbliche baltiche, mentre la Polonia che si era mantenuta grazie alla sua cultura, alla sua lingua e alla sua religione, torna ad essere uno Stato. La Germania perde le sue colonie che sono cedute ai vincitori, la Francia e la Gran Bretagna. Il Vicino Oriente è affidato dalla Società delle Nazioni ai mandati di Francia e Gran Bretagna: Siria, Libano, Palestina e Transgiordania, Iraq, con i risultati che conosciamo.

L’auspicio del convegno è che lo studio delle conseguenze di questo primo conflitto mondiale apra vie nuove di riflessione per alimentare non soltanto le nostre conoscenze di un passato ormai centenario, ma per offrire nuovi spunti di riflessione utili per costruire oggi un mondo di pace, di serenità e di armoniosa convivenza umana.

Come cambia la “politica” della Santa Sede, nel nuovo scenario post-bellico?
La guerra ha fatto quasi 9 milioni di vittime, 6 milioni di invalidi, 4 milioni di vedove e 8 milioni di orfani. Nella nuova situazione creatasi, nuove sfide si offrono alla Santa Sede e alla Chiesa cattolica: una Santa Sede, va rammentato, impedita di partecipare al negoziato di pace dalla irrisolta “Questione Romana”, e posta di fronte alle questioni nate dai cambiamenti dei confini, dai cambiamenti di nazionalità sulle colonie tedesche africane, e dalle esacerbate nazionalità.

Per la Chiesa la guerra è stata una grande prova, ma anche l’opportunità per dare il via a profondi cambiamenti.

Dopo la guerra, la Santa Sede ha sviluppato la sua rete diplomatica, si è preoccupata di una nuova strategia per le missioni, ha iniziato a consacrare i primi vescovi autoctoni; la Chiesa ha aumentato la sua presenza in campo umanitario e sociale. All’interno delle trincee, inoltre, c’è stata una riconciliazione tra laici e religiosi, laici e sacerdoti, grazie alla condivisione delle stesse sofferenze. Ma il prezzo pagato è stato troppo elevato: è necessario imparare dalla storia per non ripetere gli errori del passato.

Benedetto XV ha definito la prima guerra mondiale una “inutile strage”, e Papa Francesco nell’ultimo Angelus ha auspicato che i cento anni dalla fine del conflitto siano l’occasione per porre fine a tutti i conflitti nel mondo. Sono appelli destinati a rimanere inascoltati?
Già Pio X aveva rifiutato di benedire uno degli eserciti in guerra, sostenendo: “Noi benediciamo solo la pace”. Poi c’è stata la caduta nel vuoto e l’opposizione ad ogni appello alla pacificazione di Benedetto XV, in un contesto di guerra che si profilava di lunga durata, al punto che in Italia veniva chiamato “Maledetto XV” e in Germania “il Papa francese”. Sarà lui, di fronte ad eserciti cattolici schierati su fronti opposti, a cominciare a distinguere i due piani, quello religioso e quello politico, una visione che per affermarsi ha richiesto del tempo. Gli appelli di Papa Francesco, e dei suoi predecessori, a porre fine ai conflitti in atto nel mondo, non si contano. Naturalmente lo scenario mondiale è molto diversificato: pensiamo all’Ucraina, o alla Terra Santa, o all’Iraq. Senza contare la minaccia del terrorismo, le guerre in Africa e in America Latina, come in Colombia, dove l’appello di pace lanciato dal Papa è stato ascoltato. Purtroppo oggi non si trovano uomini di governo in grado di fare una rivoluzione a favore della pace, e il rischio è che in alcuni focolai le cose rimangano così.

Nelle celebrazioni del centenario della Grande Guerra, Macron e Merkel hanno messo in guardia dai nazionalismi e dai populismi che minacciano l’Europa. Come arginare questa deriva?
Il nazionalismo è un amore di patria sregolato, e i populismi sono un “gioco” che fanno alcuni che si appoggiano sul malcontento generale: non è onesto, è un’attività di contestazione e non di governo. Il fatto che ci sia una Unione europea, anche con tutti i suoi difetti e mancanze, è un elemento importante: in fondo noi stiamo vivendo il periodo di pace più lungo che l’Europa abbia mai conosciuto. L’Europa è una famiglia di nazioni, dobbiamo mettere in comune tutto quello che ci unisce e scongiurare tutto ciò che potrebbe risultare divisivo, come hanno fatto i padri fondatori: Adenauer, Schuman, De Gasperi.