Salute materno-infantile
Il programma quinquennale lanciato dall’organizzazione mira a garantire 320mila parti assistiti e a curare 60mila bambini malnutriti. A due anni dall’inizio i risultati sono molto soddisfacenti nei sette Paesi coinvolti: Etiopia, Sud Sudan, Uganda, Tanzania, Mozambico, Angola e Sierra Leone. Nel 2018 il progetto è partito anche nella Repubblica Centrafricana
117.541 parti assistiti, 526.650 visite pre e post natali, 4.794 bambini malnutriti gravi presi in carico. Sono alcuni dei numeri del programma “Prima le mamme e i bambini. 1000 di questi giorni”, promosso da Medici con l’Africa Cuamm. A don Dante Carraro, direttore del Cuamm, chiediamo un bilancio dei primi due anni del programma quinquennale, partito a novembre 2016, alla conclusione del primo progetto che aveva obiettivi simili anche se più ridotti.
Don Dante, come sta andando il progetto?
Il target quinquennale che ci siamo dati come obiettivo è di 320mila parti assistiti che vuol dire 320mila mamme accompagnate durante il parto e anche 320mila neonati assistiti. 7 Paesi coinvolti, rispetto agli 8 in cui siamo presenti e 10 ospedali rispetto ai 24 dove siamo. Abbiamo scelto gli ospedali e le aree dove abbiamo un lavoro più consolidato.
In questi primi due anni abbiamo ottenuto 117.541 parti assistiti, ovvero il 37% dell’obiettivo da raggiungere in 5 anni.
Questo vuol dire che siamo “on track”, cioè in linea. Lo stato d’animo è, perciò, di profonda consolazione e motivazione perché il cammino che si sta facendo è molto buono e siamo fiduciosi di poter raggiungere l’obiettivo di quei 320mila parti. Noi siamo operativi con il progetto in Etiopia, Sud Sudan, Uganda, Tanzania, Mozambico, Angola e Sierra Leone. Abbiamo lasciato fuori la Repubblica Centrafricana, perché questo è l’ultimo Paese dove abbiamo iniziato a operare nel 2018: anche lì realizzeremo il progetto, ma lo conteggiamo fuori dal programma perché si è inserito dopo.
Per raggiungere l’obiettivo di oltre 117mila partiti assistiti come avete operato?
Abbiamo concretamente garantito anche molte visite prenatali. Infatti, la mamma viene a partorire in ospedale se l’hai accompagnata in tutto il percorso. Questo è un lavoro fatto di prevenzione e di educazione. In questi due anni abbiamo fatto 526.650 visite pre e post natali, numero che corrisponde al 72% del target promesso; infatti la mamma va educata prima e accompagnata dopo il parto. Tante volte, infatti, il problema non è prettamente medico, ma culturale.
Tra le novità del progetto, la lotta alla malnutrizione…
In totale ci occuperemo di 60mila bambini. Come obiettivo in questi cinque anni cureremo 10mila bambini malnutriti gravi, cioè che sono a rischio di vita, e altri 50mila per prevenire la malnutrizione cronica. Dopo due anni, dei 10mila gravi sono 4.794 bambini malnutriti gravi trattati, che è circa il 50% dell’obiettivo dell’intero programma. Abbiamo raggiunto, poi, 41mila bambini dei 50mila cronici per i quali bisogna educare le mamme su come dare un pasto bilanciato.
In questo caso abbiamo già raggiunto quasi al 100% l’obiettivo.
Uno dei problemi è anche la collocazione geografica dei villaggi dove le future madri vivono?
Molte donne e bambini vivono in maniera geograficamente molto disagiata rispetto alla struttura ospedaliera. Perciò, abbiamo anche calcolato quanti trasporti in ambulanza siamo riusciti a fare in questi due anni: 7.658 trasporti in ambulanza. Questo è un dato importante perché non c’è dubbio che le famiglie tante volte vivono talmente lontane dal centro sanitario e dall’ospedale che le mamme preferiscono partorire a casa. Se è vero che vogliamo garantire un parto sicuro e protetto alle mamme, la differenza la fa anche poterle raggiungere con un’ambulanza, un’auto o una barca.
Quanto è importante la formazione?
Importantissima. Abbiamo formato 1.816 operatori comunitari, cioè quelli che sono più vicini alla gente che vive nelle capanne e nelle zone più remote. Diamo un piccolo salario e facciamo una formazione semplice per un primo filtro che fa da ponte tra la mamma che partorisce e il centro sanitario. Poi abbiamo formato 1.191 operatori sanitari, cioè coloro che gestiscono le strutture periferiche, i dispensari e i centri sanitari. Hanno un livello formativo più elevato con corsi più approfonditi e costituiscono un collegamento con l’ospedale. Quando il progetto terminerà, queste persone continueranno a svolgere questa attività.
Qual è l’importanza di questo progetto?
“Prima le mamme e i bambini” è il cuore del nostro intervento in Africa,
cioè la salute materno infantile, per tre grandi motivi. Il primo perché è un valore etico: di mezzo c’è il diritto sacrosanto di una mamma di mettere alla luce un bambino senza perdere la vita. Il secondo motivo è di natura “epidemiologica” perché va a toccare il maggior problema sanitario dell’Africa, che è la salute delle mamme quando partoriscono e quella dei neonati. A livello internazionale è riconosciuto da tutti come il collo di bottiglia della sanità africana. Il terzo è che per far partorire in sicurezza una mamma per esempio con un cesareo, devo allestire una sala operatoria funzionante 24 ore su 24 in maniera minimale, ma qualitativamente efficiente. La stessa sala operatoria servirà anche per altri tipi di interventi. Quindi, grazie al progetto si rafforza il sistema sanitario del Paese.
Quali sono gli altri principali campi di intervento del Cuamm in Africa?
Interveniamo su un altro grande problema dell’Africa, che è costituito dalle malattie infettive: la tubercolosi, l’hiv e la malaria. Negli ultimi tempi, poi, stanno crescendo anche le malattie cronico-degenerative: l’ipertensione, il diabete, le ipercolesterolemie, specie nelle capitali, perché, da un lato, non è entrata ancora la cultura del cibo e, dall’altro, c’è l’invasione da parte delle multinazionali del cibo, che favoriscono gli alimenti dolci, di cui i nostri amici africani vanno pazzi ma che sono bombe glicemiche dannose per la salute. Gli africani hanno pochi soldi, perciò le multinazionali vendono questi prodotti a prezzi molto bassi. Le malattie cardiovascolari stanno aumentando soprattutto nelle capitali africane. Anche di questo ci stiamo occupando, basti pensare al progetto più grosso in Mozambico, dove a livello nazionale stiamo aiutando il ministero della Sanità ad affrontare anche questo problema.
Cosa si può fare oggi non tanto “per”, ma “con “l’Africa?
Se noi andiamo in Africa con un approccio neocolonialista, alla fine coltiviamo solo il nostro ego. Nessuno di noi va là come salvatore del mondo, andiamo lì a condividere un cammino, delle scelte, delle responsabilità reciproche. Solo così crei futuro, altrimenti sviluppi un approccio assistenzialistico che fa male a noi e a loro. Perché
il vero approccio è “con” l’Africa:
insieme si affrontano i problemi, insieme si leggono le situazioni, si tenta di trovare soluzioni condivise, facciamo molta formazione del personale locale. Se semini, dopo 15/20 anni quell’ospedale cammina sulle sue gambe ed è in grado di farlo perché tu sei stato lievito dentro quella pasta che è cresciuta. Non vai là a sostituirti e a fare tutto tu. Insieme si cresce. È questo anche l’obiettivo del Cuamm: essere medici “con”. È la ricchezza vera dell’Africa, quello che ti dà in cambio. Per tutto quello che hai ricevuto senti una grande gratitudine nei confronti di un Continente che spesso, purtroppo, è umiliato malgrado le ricchezze e le risorse. Viviamo in un mondo arrabbiato, invece i problemi vanno affrontati con la capacità di non perdere il sorriso e il gusto della vita che l’Africa ci dona.