Società

Tutto e subito

Il mondo che ci attornia si colora non delle proprie cromie bensì delle nostre aspirazioni estreme, tal ché pretendiamo che il tutto rientri nelle nostre mani come l’avevamo ipotizzato per assorbirlo nell’immediatezza, senza retromarcia dal pensiero unico

Viviamo in un’epoca nella quale domina il tutto e subito. Non concediamo spazio (o possibilità) né alle cose difficili da ottenere in tempi stretti né a quanto ci interessa di avere. Mentre l’incalzare degli eventi introduce sregolatezza e urgenza anziché normalità e tranquillità, il nostro “io” non appare disposto a perdere una sola occasione, anzi vuole accumularne il più possibile e in gran fretta. Non c’è tempo da perdere, occorre essere sempre pronti, sulla breccia, per aggredire più che prevenire, per trasformare la giornata in qualcosa di produttivo: se un impiccio allunga i tempi e ci lascia privi della tal cosa che vogliamo, ahi-noi entriamo in fibrillazione, una sorta di angoscia.

Il mondo che ci attornia si colora non delle proprie cromie bensì delle nostre aspirazioni estreme, tal ché pretendiamo che il tutto rientri nelle nostre mani come l’avevamo ipotizzato per assorbirlo nell’immediatezza, senza retromarcia dal pensiero unico. Diventiamo dei despoti, ci sentiamo smarriti se qualcuno, inavvertitamente o per giusta analisi, ci richiama bruscamente ad un ordine mentale diverso da quello perseguito. A quel punto il tutto e subito potrebbe crollarci addosso con il peso della sua fragilità e inutilità, tuttavia fingiamo ancora di non accorgercene, vittime dell’abisso stolto e disumano di un agire come dentro la virtualità di un romanzo, ebbri di noi stessi.

È questa ebbrezza che va combattuta: quando in famiglia pretendiamo e non concordiamo, quando sul lavoro ci interessa l’orologio dell’orario e non l’impegno, quando per strada, in automobile, vorremmo sorpassare chiunque e non attendere il nostro turno, quando nella società ci distinguiamo per prepotenza e non per rispetto, quando il dio denaro si fa riferimento di ogni azione e ci diseduca alla nobiltà dei comportamenti, quando la passione politica ci rende strabici e non ci induce a pensare prima di contrariare in via pregiudiziale, quando dimentichiamo di essere uomini “per” una fraternità genuina e non degli egoisti alla ricerca solo del profitto, quando non sappiamo essere cristiani, se non di parola, e cadiamo nella indifferenza verso il prossimo, spinti dal desiderio di avere ed estranei a quanto attorno si muove nella maturazione (quindi, non subito) e nella gradualità degli intendimenti (quindi, lontani dal tutto).

Sono alcuni dei “quando” che schiacciano la nostra umanità perdente, mirata al tutto e subito e spesso priva di sensibilità e di amore.

(*) già direttore “Il Popolo cattolico” (Treviglio)