Aborto

Interruzioni volontarie di gravidanza in Sardegna

In Sardegna e in Italia non c’è una mentalità contraccettiva, che spiana la strada verso la diffusione dell’aborto. Nell’isola – che occupa il decimo posto nella classifica regionale degli aborti, progressivamente in decrescita in Italia -, quando la donna ricorre all’interruzione volontaria della gravidanza, lo fa per precarietà affettiva, per incertezza economica dovuta alla disoccupazione e anche davanti alla certezza di un feto malato

Su 1.861 interruzioni volontarie di gravidanza (Ivg) effettuate in Sardegna due anni fa, 1.190 (64,7%) – la percentuale più alta in Italia – hanno riguardato nubili e 543 (29,5%) donne sposate. Mentre 487 disoccupate ( 26,5%) – valore inferiore solamente a quello registrato in Calabria e Liguria – hanno scelto di non coinvolgere un figlio nell’incertezza del non lavoro. Numeri, comunque preoccupanti, perché svelano momenti angoscianti e storie difficili, ma che denotano un fatto positivo: in Sardegna e in Italia non c’è una mentalità contraccettiva, che spiana la strada verso la diffusione dell’aborto. Nella nostra regione, quando la donna ricorre all’interruzione volontaria della gravidanza, lo fa per precarietà affettiva, per incertezza economica dovuta alla disoccupazione e anche davanti alla certezza di un feto malato.
“Il matrimonio, comunque un rapporto giuridicamente stabile – dice Assuntina Morresi per diversi anni consulente scientifico del ministro della Salute e tra i compilatori del rapporto ministeriale sull’Ivg, a Cagliari per un convegno organizzato da FederVita Sardegna, presieduta da Maria Stella Leone, in occasione del 40° anniversario della legge 194/78 – fa sentire, più che nel resto d’Italia, le donne sarde meno sole nel crocevia di una gravidanza, e il lavoro, più che nelle altre regioni, dà certezze economiche che agevolano il passo verso la maternità. Anche la paura di avere un figlio malato condiziona molto la scelta di proseguire o meno la gravidanza. In Sardegna si registra la percentuale più alta di Ivg dopo i primi tre mesi in stato interessante”. Due anni fa 66 donne (4,6%) – dato percentuale più rilevante in Italia – hanno scelto l’aborto probabilmente dopo l’amniocentesi, cioè la diagnosi prenatale che consente di stabilire con certezza se il feto è colpito da anomalie soprattutto di tipo cromosomico.
Difficile trovare il coraggio e la forza di mettere al mondo figli se unioni e convivenze non sono strutturate in un matrimonio, religioso o civile non fa differenza, e anche quando manca la certezza di uno stipendio sicuro. In queste situazioni una gravidanza non cercata sfocia spesso in un aborto. Il rapporto ministeriale 2016, l’ultimo della serie sull’applicazione della legge 194/78, svela le situazioni difficili che si accompagnano alla dolorosa scelta abortiva, in Italia e nell’isola meno praticata che in altri paesi, grazie anche alla “croce rossa” familiare.
La Sardegna occupa il decimo posto nella classifica regionale degli aborti, progressivamente in decrescita in Italia: 84.926 nel 2016, quasi un terzo rispetto al 1982. In tutto il paese, quindi anche in Sardegna, calano nascite e aborti. In altri stati diminuiscono le nascite ma non le interruzioni volontarie di gravidanza. “L’Italia si distingue – dice la Morresi, componente del Comitato nazionale di bioetica – perché si ricorre poco alla contraccezione chimica(la pillola), si ha una bassa natalità e anche un ridotto numero di aborti”. Una contraddizione spiegabile. Le donne sarde e italiane alla fin fine possono accettare anche una maternità imprevista. Il ripensamento è opera della famiglia: “la croce rossa” degli affetti sorregge la donna anche in un momento di grande fragilità e incertezza come una gravidanza non voluta. “In Italia – aggiunge Assuntina Morresi – non c’è una mentalità contraccettiva, quella che pensa solo a preparare, fin da piccoli, alla ginnastica sessuale e a vedere nella gravidanza un rischio da evitare a ogni costo. Da noi il rapporto fisico col partner è un gesto che segna una relazione consolidata ed esprime responsabilità nei confronti dell’altro”. La cultura contraccettiva spiega, in Gran Bretagna, il fenomeno negativo di tante mamme giovanissime e l’alto tasso di aborti tra i minorenni. In Sardegna solamente 64 under 18 nel 2016 hanno fatto ricorso alla Ivg, di cui 6 in età inferiore a 15 anni. Una concezione italiana della relazione sessuale che resiste, anche se l’età media del primo rapporto sessuale completo è attestato intorno a 17,1 anni. “Il rapporto fisico – conclude Assuntina Morresi – è solo una parte della relazione uomo/donna, che invece esige rispetto e tempi congrui di maturazione”.

(*) “Nuovo cammino” (Ales-Terralba)