Violenza
Natale nel sangue a Kabul, in Afghanistan, dove due attentati hanno provocato la morte di oltre 40 persone, in gran parte civili. La testimonianza al Sir di padre Giovanni Scalese, il religioso barnabita al quale Papa Francesco, nel 2015, ha affidato la Missione sui iuris in Afghanistan. Dopo 40 anni di guerra la speranza nella pace non viene meno: “Si ha l’impressione che tutti, compresi i talebani, siano stanchi di questa interminabile guerra e, appurato che non esiste una soluzione militare, vogliano trovare una via d’uscita politica. Si spera che tutte le parti in causa siano animate da buona volontà e che alle parole facciano seguire i fatti”
Non è stato un Natale sereno quello del 2018 a Kabul. Come non lo è forse da quarant’anni, da quando cioè nel 1978, con la cosiddetta “Rivoluzione di aprile”, ebbe inizio quella situazione di instabilità che avrebbe visto successivamente l’invasione sovietica, la guerra civile, il regime talebano e infine l’intervento americano.
“Nel pomeriggio del 24 dicembre, due edifici governativi, il ministero dei lavori pubblici e l’Autorità nazionale per i disabili e le famiglie dei martiri, sono stati assaltati dai ribelli, provocando scontri con le forze di sicurezza durati fino a notte inoltrata, “per noi, la notte di Natale”. Tragico il bilancio: oltre 40 morti, in gran parte civili. “Certamente non il clima migliore per celebrare il Natale… Ma forse proprio questo contesto di violenza ci ha fatto percepire come più urgente l’annuncio degli angeli a Betlemme: pace in terra agli uomini di buona volontà”. Lo racconta così il suo Natale a Kabul, padre Giovanni Scalese, il religioso barnabita al quale Papa Francesco, nel 2015, ha affidato la Missione sui iuris in Afghanistan. I pressanti richiami alla pace di Papa Francesco, l’ultimo alla benedizione Urbi et Orbi di Natale, sembrano non intaccare l’Afghanistan. Ma scaldano il cuore di tutti “i nostri fratelli e sorelle che festeggiano la Natività del Signore in contesti difficili, per non dire ostili”. Come in Afghanistan.
Continua padre Scalese: “Gli eventi che si stavano svolgendo in città hanno certamente condizionato la partecipazione alle celebrazioni della vigilia di Natale: novena, annuncio della Natività (Kalenda), svelamento del Santo Bambino, benedizione del Presepio, Messa vigiliare. Evidenti motivi di sicurezza – ricorda il religioso – impediscono ormai da anni di celebrare la Messa nella notte. Potete immaginare i canti natalizi inframezzati dal suono degli allarmi e delle sirene”. “Il giorno di Natale, al mattino, – prosegue padre Scalese – sono andato a celebrare la messa alla base militare della Missione Nato ‘Resolute Support’ (Rs). Il cappellano militare cattolico, mons. Petr Fiala, doveva attendere ad altre basi militari nelle vicinanze. Avevano invitato anche le nostre Suore (le Missionarie della Carità di Madre Teresa e le Suore del Centro ‘Pro Bambini di Kabul’) per dare loro dei regali natalizi da portare ai bambini da loro assistiti). Fra gli altri, c’erano anche i soldati italiani, capeggiati dal Vicecomandante della Missione Rs, il generale Salvatore Camporeale. Nel pomeriggio, la Messa solenne nella cappella dell’Ambasciata, in via del tutto eccezionale accompagnata all’organo dal maestro Allan Fellows. Al termine della celebrazione, la benedizione apostolica impartita a nome di Papa Francesco”.
“I giorni dopo Natale sono, per tradizione, quelli più propizi per ritrovarci insieme fra religiosi, non solo per pregare insieme, ma anche per trascorrere qualche ora di sollievo in compagnia. In un contesto ad alta tensione come quello afghano, si sente il bisogno, di tanto in tanto, di avere momenti di fraternità” rivela il barnabita che guarda già alla fine dell’anno. “Termineremo l’anno col canto del Te Deum; inizieremo il 2019 con il canto del Veni Creator e con l’invocazione della pace; concluderemo le celebrazioni natalizie il giorno dell’Epifania, che per noi ha un significato particolare, visto che i Magi provenivano da queste parti, con l’annuncio della Pasqua e l’adorazione del Santo Bambino”.
Ma con quale stato d’animo chiudere un anno di sangue per riaprirne un altro che si spera migliore sotto ogni punto di vista?
“Con un misto di preoccupazione e di speranza”, ammette padre Scalese. “Da una parte – dice – ci sono le violenze, che continuano a seminare morte, dolore e insicurezza. A ciò va aggiunto l’annuncio del Presidente Trump di voler ridurre drasticamente la presenza militare americana nel Paese, cosa per un verso positiva, ma che non può non provocare un senso di incertezza e di preoccupazione. Dall’altra ci sono le speranze suscitate dai colloqui di pace, che si vanno moltiplicando sia a livello nazionale che internazionale, e, in particolare, dall’intensa attività diplomatica dell’Inviato speciale americano (ma di origini afghane) Zalmay Khalilzad. Si ha l’impressione che tutti, compresi i talebani, siano stanchi di questa interminabile guerra e, appurato che non esiste una soluzione militare, vogliano trovare una via d’uscita politica. Si spera che tutte le parti in causa siano animate da buona volontà e che alle parole facciano seguire i fatti”, conclude padre Scalese che ripete senza stancarsi… “Pace in terra agli uomini di buona volontà”.