Consiglio permanente
Non tralascia i temi politici del momento il card. Gualtiero Bassetti introducendo il primo Consiglio episcopale permanente del 2019. Arrivare all’assemblea di maggio “con un progetto condiviso”, l’obiettivo, per “mostrare al Paese che noi cattolici non disertiamo le sfide di questo nostro tempo”. Un doppio ringraziamento – agli abitanti di Torre di Melissa per la “solidarietà corale” verso i migranti – e “quanti – non da ultimo le testate giornalistiche – si sono adoperati per evitare il raddoppio della tassazione sugli enti che svolgono attività non profit”. A 100 anni dall’appello di don Sturzo, l’esortazione a lavorare insieme per l’unità del Paese. Ai vescovi: “Ripartiamo da questo stile sinodale”. Tra le proposte: dare più voce alle Conferenze episcopali regionali
“Vorrei arrivare all’Assemblea di maggio con un progetto condiviso, così che si possa dire: la Chiesa italiana non si lamenta, ma si prepara a fare di più e meglio”. È la proposta lanciata dal card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, nell’introduzione al Consiglio episcopale permanente, dedicata tra l’altro ad alcuni temi politici del momento.
“Vorrei che sapessimo mostrare al Paese che noi cattolici non disertiamo le sfide impegnative di questo nostro tempo, convinti come siamo che possono essere affrontate e superate”,
l’auspicio del cardinale, che dice un “grazie” agli abitanti di Torre di Melissa, la piccola cittadina calabrese che ha saputo esprimere una “solidarietà corale” verso quella cinquantina di migranti in balia delle onde, esempio di accoglienza in controtendenza rispetto al dibattito attuale sulle migrazioni.
“Sui poveri non ci è dato di dividerci, né di agire per approssimazione”, il monito di Bassetti: “La stessa posizione geografica del nostro Paese e, ancor più, la nostra storia e la nostra cultura, ci affidano una responsabilità nel Mediterraneo come in Europa”.
Il secondo ringraziamento del presidente della Cei è riservato
“a quanti – non da ultimo le testate giornalistiche – si sono adoperati per evitare il raddoppio della tassazione sugli enti che svolgono attività non profit”.
“Il mondo del Terzo settore riveste nella società italiana un ruolo determinante”, sottolinea il presidente della Cei a proposito dell’Ires: “Più di ieri c’è bisogno di questa società civile organizzata, c’è bisogno dei corpi intermedi, di quella sussidiarietà che risponde alle povertà e ai bisogni con la forza dell’esperienza e della creatività, della professionalità e delle buone relazioni”.
“Governare il Paese significa servirlo e curarlo come se lo si dovesse riconsegnare in ogni momento”,
l’appello finale, a 100 anni dall’appello di don Sturzo. “Ai liberi e forti di oggi – l’attualizzazione di Bassetti – dico: lavorate insieme per l’unità del Paese, fate rete, condividete esperienza e innovazione”. “Come Chiesa assicuro che faremo la nostra parte con pazienza e coraggio, senza cercare interessi di bottega, per meritarci fino in fondo la considerazione e la stima del nostro popolo”, garantisce il presidente della Cei.
“Portiamo nel cuore le fatiche e le speranze della nostra gente, delle nostre Chiese e dei nostri territori, coinvolti come siamo dalla loro domanda di vita: domanda che ci interpella in prima persona, rispetto alla quale avvertiamo la responsabilità di non far mancare il contributo sostanziale di quell’esperienza cristiana che passa dall’annuncio credente e dalla testimonianza credibile del Vangelo”. Comincia con questo sguardo di condivisione l’introduzione del card. Bassetti al primo Consiglio episcopale permanente del 2019.
Di fronte a “venti che disperdono, provocando in molti confusione e smarrimento, ripiegamento e chiusura, dobbiamo impegnarci a lavorare meglio”, il primo appello ai cattolici: “Se la confusione è grande, non dobbiamo essere noi ad aumentarla; se ci sentiamo provocati o criticati, dobbiamo cercare di capirne le ragioni; se siamo ignorati, dobbiamo tornare a bussare con rispetto e convinzione; se veniamo tirati per la giacca, dobbiamo riflettere prima di acconsentire e fare”.
No, allora, allo scoraggiamento e alla sfiducia, a quella forma di male che, travestito da indifferenza, “si impadronisce delle paure per trasformarle in rabbia”: “Temo l’astuzia che si serve dell’ignoranza. Temo la vanità che avvelena gli arrivisti. Temo l’orizzonte angusto dei luoghi comuni, delle risposte frettolose, dei richiami gridati”. “La relazione cristiana non è un galateo o una lezione di buone maniere”: bisogna “pensare meglio e agire con discernimento e concretezza”, come ci esorta a fare il Papa.
“Quando il popolo è confuso, il modo migliore per rispondere al nostro dovere non è quello di proporre facili rassicurazioni,
lasciando capire che poi tutto s’aggiusta o che, comunque, altri sono quelli che devono pensarci”. Ai cattolici, il presidente della Cei chiede di confrontarsi con franchezza e “assumere con determinazione le scelte necessarie, così da essere non solo più efficienti, ma soprattutto più chiari e uniti”, senza limitarsi alle critiche. L’improvvisazione o il pressappochismo non fanno parte del patrimonio del cattolicesimo politico, la tesi del cardinale:
“Non possiamo limitarci a rincorrere l’attualità con comunicati e interviste; non possiamo perdere la capacità di costruire autonomamente la nostra agenda, aperti a ciò che accade – a partire dalle emergenze che bussano ogni giorno alla porta – ma fedeli a un nostro programma pastorale, che è poi il Vangelo di nostro Signore, incarnato in questo tempo”.
“Le nostre decisioni – spiega – devono seguire un metodo, supportato da un’idea forte e da continue verifiche, da un luogo di elaborazione culturale che non sia semplicemente una vetrina per proporre se stessi. Ci serve metodo anche per utilizzare al meglio le risorse materiali e finanziarie che i cittadini e i fedeli mettono a disposizione della Chiesa; ci serve metodo per interagire con le Istituzioni, in modo distinto e collaborativo; ci serve metodo per guardare avanti con fiducia e impegno”.
Dare più voce alle Conferenze episcopali regionali, una delle proposte: non per “grandi riforme”, ma per renderle maggiormente protagoniste e “maturare quell’arte del governo che rende tutti responsabili e gratifica chi compie al meglio il proprio dovere”. “Ripartiamo da questo stile sinodale, viviamolo sul campo, tra la gente, per consigliare, sostenere, consolare”, l’esortazione indirizzata ai vescovi: “Sarà, allora, più facile distinguere le buone idee dalle cattive, adottare i provvedimenti più incisivi, scegliere i collaboratori più validi”.