Fede e cultura
Giuseppe Tanzella Nitti illustra al Sir il suo progetto per una “teologia fondamentale in contesto scientifico”. “Chi vuole oggi parlare di Dio e del suo venire incontro all’uomo, deve mostrare di conoscere quanto le scienze ci dicono sul cosmo, sulla vita, sull’origine dell’essere umano e sulla sua evoluzione culturale”, la tesi di fondo.
Oggi siamo tutti un po’ “scienziati”, con gli smartphone e il web, ma conosciamo davvero “quanto le scienze ci dicono sul cosmo, sulla vita, sull’origine dell’essere umano e sulla sua evoluzione culturale”? A lanciare la provocazione, per una nuova “apologetica” all’altezza delle nuove sfide, è Giuseppe Tanzella Nitti, ordinario di Teologia fondamentale alla Pontificia Università della Santa Croce, autore del progetto “Teologia fondamentale in contesto scientifico”, in quattro volumi, di cui il terzo è ora in uscita. Lo abbiamo intervistato.
Al centro del suo progetto di una “Teologia fondamentale in contesto scientifico” c’è la questione di come parlare oggi di Dio all’uomo di scienza. Come dimostrare la “plausibilità” della fede cristiana – per usare un termine di Benedetto XVI – all’uomo contemporaneo, che usa lo smartphone e cerca sul web le risposte alle sue domande?
Il volume appena uscito in libreria, Religione e Rivelazione, è il terzo del progetto. I primi due volumi, pubblicati un paio di anni fa, trattavano della Credibilità; il terzo e il quarto sono invece dedicati alla teologia della Rivelazione. Nel loro insieme intendono proporre, appunto, una Teologia fondamentale contesto scientifico. In fondo, scienziati oggi lo siamo un po’ tutti, perché impieghiamo largamente le applicazioni della ricerca scientifica e ascoltiamo volentieri cosa gli scienziati ci dicono, non solo su temi ambientali o legati alla nostra salute, ma anche su temi sociali, etici ed esistenziali.
Chi oggi vuole parlare di Dio e del suo venire incontro all’uomo, deve mostrare di conoscere quanto le scienze ci dicono sul cosmo, sulla vita, sull’origine dell’essere umano e sulla sua evoluzione culturale.
Così facendo, il discorso teologico diviene certamente più esigente, e in parte anche più difficile, ma anche tremendamente attraente. Chi professa Gesù Cristo centro del cosmo e della storia, potrà farlo con maggiore cognizione e chiarezza quando conosca davvero cosa siano il cosmo e la storia. Ed è proprio questa conoscenza che le scienze oggi ci dischiudono. Se, insegnando o predicando, ignorassimo questi orizzonti, renderemmo il messaggio cristiano circostanziale, esponendolo al rischio di perdere significato.
Tra le acquisizioni scientifiche che stanno provocando mutamenti nella declinazione della stessa antropologia c’è il vasto campo delle neuroscienze e dell’intelligenza artificiale, o anche l’emergere della robotica. Questi mutamenti stanno cambiando la “domanda religiosa” dell’uomo?
La domanda esistenziale non è soddisfatta dalle risorse tecnologiche, per quanto sofisticate siano. L’uomo non è un semplice cercatore di felicità, ma un cercatore di Dio, e continuerà a cercarlo sempre, fino a quando ne avrà le forze. In tal senso, i contesti ai quali si riferiva
non stanno cambiando la domanda religiosa dell’uomo, ma la rendono solo meno ingenua.
Se siamo immagine e somiglianza di Dio non è per la rapidità con cui sappiamo fare di calcolo o per l’abilità con cui sappiamo gestire operazioni tecnicamente complesse, tutte cose che le macchine fanno ormai assai meglio di noi. Questa immagine risiede nella libertà e nella donazione interpersonale, caratteri nei quali l’essere umano non sarà mai sostituito dalle macchine.
In una società sempre dove dominano il primato della tecnica e l’oblio del passato, in che termini si è modificato, e può essere riformulato, il rapporto tra natura e storia?
Il rapporto con la storia è fondamentale per la comprensione e la trasmissione della fede. Non soltanto perché Dio ci è venuto incontro in una storia di salvezza, ma anche perché l’identità e la libertà dell’essere umano sono radicate nella storia e si nutrono di essa.
Nell’ecologia integrale di Papa Francesco la custodia della storia e della tradizione è parte della custodia dell’ambiente, quello umano.
Non credo però che la tecnica, di per sé, ostacoli la nostra memoria storica. Dipende dall’impiego che ne facciamo. La scienza e la tecnica moltiplicano le nostre capacità di dialogo e di relazione, e ci fanno conoscere con maggiore profondità a quale storia apparteniamo, quale storia ci ha preceduto e ha condotto fino a noi.
La “teologia in uscita” auspicata da Papa Francesco è anche “narrazione”, per rispondere al desiderio di ricerca innato del cuore dell’uomo: ci vuole un linguaggio teologico nuovo, per parlare ai nostri contemporanei?
Dio ha parlato la lingua degli uomini, facendosi uomo. Pertanto, nell’annunciare il Vangelo la Chiesa dovrà sempre parlare il linguaggio dell’uomo. La mutata sensibilità e i mutati modi di vivere non devono spingerci a cambiare la sostanza dell’annuncio, bensì verso il modo di esporlo. Rileggere a oltre 50 di distanza il discorso con cui san Giovanni XXIII inaugurava il Concilio è ancora istruttivo. Diceva l’11 ottobre del 1962: “Una cosa è il deposito della fede, cioè le verità contenute nella nostra veneranda dottrina, e altra cosa è il modo della loro enunciazione”. La Teologia fondamentale può aiutare proprio nella ricerca di questa enunciazione adeguata.
Nel contesto scientifico in cui viviamo lo si dovrebbe fare seguendo la logica dell’inculturazione. Gli evangelizzatori che si recano in nuovi Paesi si preoccupano di imparare la lingua e la cultura del popolo al quale si dirigono. Il mondo delle scienze rappresenta anch’esso una cultura, una lingua, una sensibilità in cui il Vangelo va “inculturato”.
Direi che si tratta di un compito soprattutto affidato ai fedeli laici che lavorano nel campo della ricerca scientifica, un campo, però, nel quale anche i Pastori dovrebbero sapersi muovere con maggiore familiarità.
In che modo la Teologia fondamentale può offrire oggi un contributo alla pastorale e alla catechesi? È ancora possibile parlare di una preparazione alla fede, come faceva l’Apologetica di una volta?
Il progetto che mi è sempre stato a cuore e che ha ispirato i volumi ai quali mi sto dedicando, è quello di Teologia fondamentale che offrisse un raccordo con la Teologia pastorale e con la catechesi, sebbene con le dovute mediazioni. Sapere che le ragioni per credere in Gesù Cristo sono Gesù Cristo stesso, non ci esime dalla paziente analisi di tali ragioni e dal vagliarne il significato per l’uomo moderno. Una preparazione alla fede? Ce ne sarà sempre bisogno. I Padri della Chiesa preparavano l’annuncio del Vangelo partendo dal discorso su Dio che, nel modo pagano, già svolgevano la filosofia e la religione essi valorizzavano con discernimento la prima e purificavano la seconda.
Se l’Ottocento e il Novecento sono stati i secoli in cui la preparazione alla fede ha guardato principalmente alla filosofia, sono persuaso che nel secolo presente si dovrà guardare soprattutto alla religione.
Sono i desideri dell’homo religiosus quelli ai quali occorre prestare oggi ascolto, anche se espressi in modo confuso e talvolta perfino irrazionale. Bisogna mostrare all’uomo contemporaneo che Gesù Cristo è il compimento non solo della filosofia, ma anche della religione.