Migranti
Il Viminale ha iniziato i trasferimenti di 305 su 535 ospiti del Cara, il centro per rifugiati di Castelnuovo di Porto, lo stesso dove era andato Papa Francesco nel 2016. Bambini dovranno lasciare le scuole dove erano inseriti. Giovani che avevano avviato percorsi di integrazione che funzionavano rischiano di finire in strada per effetto del decreto sicurezza. 120 lavoratori del Cara sono a rischio licenziamento. Stasera una marcia silenziosa davanti alla parrocchia di Santa Lucia
A Castelnuovo di Porto, comune sulla via Tiberina, è scattata la protesta della società civile per esprimere solidarietà a centinaia di bambini, donne e uomini che saranno trasferiti in altre regioni italiane a seguito della chiusura del Cara da parte del Viminale. Anche stavolta, come accaduto a Riace, viene smantellato un sistema di inserimento e inclusione sociale dei migranti che funzionava bene. Si tratta del secondo centro per rifugiati più grande d’Italia, lo stesso visitato da Papa Francesco il giovedì santo del 2016. Una protesta che serve anche a testimoniare vicinanza agli oltre cento lavoratori italiani (medici, psicologi, mediatori culturali e insegnanti) del Cara a rischio licenziamento. Stasera alle 17 si svolgerà una marcia silenziosa dalla parrocchia di Santa Lucia in Pontestorto fino al centro per rifugiati. Ci saranno anche parroci, gruppi parrocchiali, ragazzi delle scuole dove studiavano i bambini del Cara, volontari, associazioni del territorio, sindacalisti. Lo smantellamento del Cara, ufficialmente chiuso per lo scadere al 31 gennaio dell’appalto gestito dalla cooperativa Auxilium, risentirà degli effetti del decreto sicurezza: su 535 ospiti (401 uomini, 120 donne e 14 bambini) i titolari di protezione internazionale saranno trasferiti in altre strutture ma non si sa in quali città, solo le regioni: Toscana, Umbria e Lombardia. Ma molti rischiano di finire in strada perché hanno i permessi scaduti e non potranno accedere alla seconda accoglienza. Il sindaco di Castelnuovo di Porto, Riccardo Travaglini, la Chiesa locale e gran parte della cittadinanza non ci stanno a veder trattare le persone come pacchi o come “bestiame”, interrompendo percorsi di integrazione efficaci. “Dopo tanti anni d’impegno della comunità locale – commenta al Sir monsignor Gino Reali, vescovo di Porto-Santa Rufina – mi pare assurdo interrompere progetti di integrazione ben avviati, con la partecipazione di tanti cittadini e volontari della diocesi”. Il vescovo contesta anche “il metodo di trasferimento, che non mi pare dignitoso per donne, uomini e bambini che hanno alle spalle storie drammatiche. Quale futuro offriamo a queste persone?”
“Quale immagine di civiltà stiamo dando?”
Mons. Reali conclude con una preghiera “perché questa gente non perda la speranza e trovi la giusta accoglienza”.
Il parroco di Santa Lucia, dove partirà la marcia silenziosa. “Siamo dispiaciuti e preoccupati”.
“Chiediamo che non vengano trattati come bestiame”,
afferma al Sir il parroco di Santa Lucia padre José Manuel Torres, messicano, dei Servi di Gesù, che ospiterà l’inizio della marcia sul piazzale antistante l’antica sede parrocchiale, a pochi passi dalla scuola elementare dove studiavano alcuni bambini del Cara, “strappati all’improvviso dal percorso che avevano iniziato”. “Con la marcia pacifica vogliamo esprimere solidarietà a questi poveri ragazzi. Non sappiamo dove andranno a finire almeno 200 persone. Hanno voluto sgomberare il centro velocemente in modo un po’ misterioso: basti pensare che l’autista del pullman nemmeno sapeva dove doveva andare, forse in Basilicata”.
Un percorso di integrazione esemplare. Padre Torres conferma quanto il sindaco di Castelnuovo di Porto si sia impegnato nel cammino di promozione umana ed integrazione di molti giovani del Cara, coinvolgendoli in lavori socialmente utili, ad esempio nel Museo di arti e mestieri. “Il Comune stava dando un segnale forte di accoglienza e integrazione che contrasta con l’idea generale di cacciare i migranti”, afferma.
“Ci preoccupano molto gli effetti del decreto sicurezza su coloro che non hanno ottenuto lo status di rifugiati e hanno i permessi umanitari in scadenza. Dove andranno?”,
si chiede. Uno di loro, Anthony, nigeriano, faceva perfino il sagrestano in parrocchia. “Era bravissimo. È un dono che ci è stato tolto”. La parrocchia seguiva anche due donne, una del Kenya e l’altra nigeriana, che si stavano preparando al battesimo. “Ora dovranno andare via”, dice il parroco, ricordando anche i tanti bambini del Cara coinvolti nei centri estivi all’oratorio di san Gabriele, “anche musulmani”. “Per noi è stata una grande occasione di scambio tra culture – osserva – ma tra noi c’è anche gente un po’ chiusa che non vedeva di buon occhio questa situazione. La comunità è divisa: c’è chi è disposto all’accoglienza, chi è indifferente e chi invece rifiuta questa presenza”.
Ora alcuni parroci si stanno interrogando: “Almeno due si dicono disponibili ad accoglierli se c’è bisogno”.
C’è poi il grande problema degli operatori del centro che perderanno il posto di lavoro. “Si parla di 107/120 lavoratori di cui 40 della zona”, ricorda il parroco di Santa Lucia. La cooperativa Auxilium si sta chiedendo come ricollocare queste persone. Intanto i sindacati hanno deciso di dare battaglia e appresteranno un presidio sotto il Ministero del lavoro e dello sviluppo economico dal 24 gennaio.