Crisi politica

Venezuela, la richiesta di elezioni libere. Il ruolo profetico della Chiesa

In un situazione nella quale ci sono centinaia di giovani incarcerati e torturati, centinaia di prigionieri politici e la maggioranza di leader dell’opposizione impedita ad esercitare il proprio ruolo politico, la Chiesa in Venezuela ha assunto il suo ruolo profetico e sta collaborando per il cambiamento sociale e politico chiesto dai più poveri in tutto il Paese

(da Caracas) Lo scorso 23 gennaio si è svolta una marcia con una grande partecipazione nella città di Caracas, capitale del Venezuela, accompagnata da proteste nelle principali città del Paese. Tutto questo movimento è iniziato nei quartieri popolari, quelli che hanno maggiormente sofferto in questi anni per la crisi umanitaria e per la repressione della Guardia nazionale, con un elevato bilancio di giovani arrestati, torturati e assassinati. Le elezioni del maggio 2018 si sono svolte dopo che Maduro aveva dato l’ordine di mettere fuori gioco i partiti d’opposizione, che non hanno potuto partecipare. Per questa ragione, c’è stata un’astensione che ha superato l’85%. La comunità elettorale non ha riconosciuto la vittoria di Maduro e il 10 gennaio 2019 avrebbe dovuto terminare il suo mandato.

Di fronte al rifiuto di Maduro di lasciare il potere, la Costituzione della Repubblica stabilisce che il Presidente del Parlamento debba assumere le funzioni del potere esecutivo e facilitare una transizione verso un nuovo processo elettorale. Per questo motivo, il 23 gennaio Juan Guaidó ha giurato di fronte alla Costituzione per assumere tale incarico e, allo stesso tempo, di fronte al popolo sceso in strada, con la prospettiva che insieme lottino, in forma non violenta, per creare le condizioni perché si possa andare verso una transizione democratica.
Guaidó ha chiesto di concentrarsi su due esigenze molto chiare: la realizzazione di nuove elezioni con un nuovo Consiglio elettorale e l’ingresso nel Paese degli aiuti umanitari internazionali. Ricordiamo che le donazioni di organizzazioni cattoliche o non governative internazionali, come la Caritas, non sono permesse in Venezuela, per ordine del Governo.

La Conferenza episcopale venezuelana aveva emesso un comunicato lo scorso 9 gennaio, dichiarando illegittimo il nuovo mandato presidenziale che Maduro avrebbe iniziato il 10 gennaio. Quando il Parlamento ha convocato la marcia per il 23 gennaio, la Conferenza episcopale venezuelana ha diffuso un altro comunicato, perché il popolo venezuelano partecipasse alla protesta nazionale e ha chiesto con forza ai militari di non sparare sul popolo. Così, il 23 gennaio si è potuto apprezzare il fatto che vescovi, clero, religiosi, religiose e movimenti laicali ecclesiali si siano uniti al popolo e a tutti i movimenti sociali per chiedere una transizione democratica e per l’ingresso degli aiuti umanitari.

Questo gesto profetico della Chiesa è stato accompagnato dalla maggior mobilitazione sociale che si è vista negli ultimi vent’anni.

È opportuno chiarire che il Parlamento non sta operando come un’entità isolata o rappresentando un partito politico. Sta rispondendo a quello che chiede la Costituzione nazionale e lo fa appoggiandosi al clamore del popolo, assumendo il suo carattere di essere rappresentante della voce del popolo. Attualmente, il Parlamento è l’unico potere che è stato eletto attraverso il voto popolare, libero e diretto, e agisce in ottemperanza a questo mandato. Tutto ciò è stato riconosciuto anche da tutti i vescovi e dalle organizzazioni ecclesiali e popolari attive nel Paese.

In Venezuela non esiste più una polarizzazione ed è un dovere della sinistra latinoamericana – e di tutto il mondo – riconoscere la violazione dei diritti umani che si sta commettendo in Venezuela e lo stato di usurpazione nel quale si trova l’esercizio del potere esecutivo, così come hanno riconosciuto la Chiesa e i movimenti popolari del Paese.

Gli stessi teologi della liberazione, in Venezuela, sono stati coerenti nel sostenere che l’attuale regime di Maduro è illegittimo. E questa è stata la posizione del Centro Gumilla e di tutte le opere della Compagnia di Gesù nel Paese, così come della Confederazione dei religiosi e delle religiose del Venezuela.

In un situazione nella quale ci sono centinaia di giovani incarcerati e torturati, centinaia di prigionieri politici e la maggioranza di leader dell’opposizione impedita ad esercitare il proprio ruolo politico, la Chiesa in Venezuela ha assunto il suo ruolo profetico e sta collaborando per il cambiamento sociale e politico chiesto dai più poveri in tutto il Paese.

Il Papa ha riconosciuto in diverse circostanze, anche all’Angelus da Panama, che la sua posizione è in accordo con la voce dei vescovi venezuelani: “Si cerchi e si raggiunga – ha detto domenica – una soluzione giusta e pacifica per superare la crisi, nel rispetto dei diritti umani e cercando esclusivamente il bene di tutti gli abitanti del Paese”.

Il cammino per una via d’uscita consiste in: realizzazione di elezioni libere, liberazione dei prigionieri politici, ingresso degli aiuti umanitari e riconoscimento del Parlamento.

Questo è quello che Juan Guaidó oggi, insieme a tutta la Chiesa e ai movimenti popolari, chiede al Governo a nome di tutti i venezuelani.

(*) membro dell’Equipe teologico-pastorale del Celam, professore dell’Università Cattolica Andrés Bello di Caracas e della Escuela de Teología y Ministerio del Boston College