Sfide globali

L’Italia conservi credibilità in politica estera

La credibilità internazionale per un Paese è un tesoro molto prezioso, difficilissimo da mettere assieme, ma che basta poco per bruciare. In un mondo sempre più globalizzato e interconnesso sarebbe suicida pensare di poter fare da soli.

Succede spesso che la politica estera sia usata più guardando alle battaglie politiche di casa propria, che al merito dei problemi internazionali Questo accade un po’ ovunque nelle democrazie occidentali (specie sotto elezione), anche se, bisogna riconoscerlo, in Italia ci distinguiamo anche in questo risultando, non poche volte, più provinciali degli altri.
In passato, peraltro, potevano cambiare i governi, ma alcune linee fondamentali in politica estera erano riconosciute unanimemente come punti non discutibili e come garanzia di affidabilità. Oggi non è più così. Il Governo del cambiamento, soprattutto sul versante grillino, sta mettendo in discussione tutto, anche quelli che erano ritenuti dei punti fissi nei rapporti con gli altri Paesi e le istituzioni internazionali.
Ora, anche un ribaltamento importante sul modo di intendere la politica estera può, al limite, starci a condizione che si sia consapevoli di quello che si sta lasciando e soprattutto l’orizzonte verso cui si vuole tendere. I fatti di questi mesi, in realtà, fanno sorgere al riguardo non poche, legittime, preoccupazioni. L’azione di più di qualche esponente governativo sembra, infatti, più ispirata da pregiudizi ideologici non suffragati da dati oggettivi e dal presupposto che chi è venuto prima (anche per quanto riguarda le relazioni internazionali) ha sbagliato tutto o quasi e quindi i nuovi governanti hanno davanti una storia da riscrivere completamente. Il tutto condito dalla convinzione che alla fine, la competenza anche in politica estera, sia un dettaglio trascurabile.
E così assistiamo a prese di posizione (solo per citare l’ultimo fatto) nei confronti della tragedia venezuelana sconcertanti. I diritti dell’uomo che dovrebbero essere il pavimento comune di tutte le democrazie occidentali, non sembrano più uno dei criteri fondamentali per orientarsi nel mondo complesso di oggi. Fa sorgere il dubbio che il dittatore Maduro non sia un problema gravissimo. Tale orientamento è assunto in barba a quella che è la posizione dell’Unione Europea. Il risultato è di ricacciarci, ancora una volta, in un angolo, isolati, ininfluenti e quel che è peggio, considerati sempre più inaffidabili. Il far parte di consessi internazionali (quali l’Unione europea) sembra un qualcosa, agli occhi di qualcuno, che si può fare senza rispettare vincoli e assumersi responsabilità.
In questi giorni poi due dei leader del Movimento 5 Stelle hanno pensato bene di incontrare i “Gillet gialli” francesi per ribadire la propria simpatia per quel movimento e la parallela antipatia per il presidente Macron. A parte una questione di galateo (e prudenza) istituzionale che non guasterebbe, non si sono sentite parole di condanna per la violenza usata dai contestatori francesi che hanno messo più volte Parigi a ferro e fuoco. Preoccupante.
Sul versante europeo, grazie a sortite improvvide (si pensi alla stesura della manovra economica), l’Italia si è trovata spesso isolata e in imbarazzo, costringendo il ministro degli esteri Moavero Milanesi (e il presidente della Repubblica Mattarella) a metterci, non poche volte, la toppa.
La questione della Tav (al di là dei risvolti di politica interna con le differenti posizioni tra Lega e 5Stelle) evidenzia come si considerino carta straccia gli impegni internazionali assunti negli anni precedenti.
La credibilità internazionale per un Paese è un tesoro molto prezioso, difficilissimo da mettere assieme, ma che basta poco per bruciare. In un mondo sempre più globalizzato e interconnesso sarebbe suicida pensare di poter fare da soli. Il mondo ha di fronte sfide enormi (pensiamo solo all’emergenza ambientale) in cui ciascuno è chiamato a fare la propria parte. L’Italia non può permettersi di chiamarsi fuori.

(*) direttore “La Voce dei Berici” (Vicenza)