Politica
Per non rompere con l’ingombrante alleato che sta facendo il pieno nei sondaggi (ormai la Lega è data stabilmente al 35 per cento dei consensi) Di Maio e soci hanno preferito rischiare un’ulteriore spaccatura al loro interno
Un voto pro governo. È quello uscito dalla consultazione on line proposta dal Movimento 5 Stelle sulla richiesta di autorizzazione a procedere che riguarda il ministro dell’Interno, Matteo Salvini. I parlamentari dei 5 Stelle, imbarazzati per non essere più duri e puri, hanno preferito affidarsi a un referendum via web.
Dopo il dimezzamento dei consensi alle recenti elezioni regionali in Abruzzo rispetto al 4 marzo 2018, i 5 Stelle si trovano a dover affrontare un altro argomento molto spinoso. Salvini va processato oppure no? Quelli che fino a ieri si dichiaravano per la giustizia a ogni costo, ora andando a corrente alternata, non se la sentono di assumersi la responsabilità di sfiduciare l’alleato con il quale guidano il Paese.
Allora che si fa, in questi casi? Semplice. Ci si affida alla Rete, la madre di tutte le democrazie (demagogie, sarebbe meglio dire) del mondo. Una consultazione grazie alla piattaforma Rousseau che parte in ritardo, si inceppa, non funziona, fa infuriare alcuni parlamentari e poi a tarda sera, lunedì scorso, emette il suo verdetto tanto atteso: grazia (si fa per dire) per Salvini dagli amici-nemici, come i più avevano ipotizzato dopo l’annuncio del sondaggio-referendum.
Alcune considerazioni si impongono, anche se nella brevità di spazi risicati. Chiamare referendum quanto andato in onda nel breve volgere di poche ore pare voler svilire l’istituto previsto dai padri costituenti (art. 75 Cost. quello abrogativo). Votare on line con quesiti poco chiari e con le linee inceppate, come riferiscono molte cronache del giorno dopo, non è come recarsi alle urne. Non confondiamo i piani, mi limiterei ad aggiungere.
Il fatto più evidente, comunque, rimane la mancata assunzione di responsabilità in chi è stato chiamato a risponderne per mandato conferito dal popolo in libere elezioni. Perché non hanno deciso gli eletti esprimendosi in Parlamento e magari votando secondo coscienza? Perché il ricorso alla base? E poi: poco più di 52mila voti quanto pesano rispetto agli elettori del movimento fondato da Grillo?
Per non rompere con l’ingombrante alleato che sta facendo il pieno nei sondaggi (ormai la Lega è data stabilmente al 35 per cento dei consensi per le prossime europee) Di Maio e soci hanno preferito rischiare un’ulteriore spaccatura al loro interno.
Gli aderenti sono in fermento e il governo sembra ingessato su alcuni punti identitari (quota 100 e reddito di cittadinanza) in vista della resa dei conti di fine maggio. Là non saranno più sondaggi o referendum on line a decidere. La parola passerà ai cittadini. E di questi tempi pochi sono in vena di sconti. Nessuno lo dimentichi. La stagione dei saldi è agli sgoccioli.
(*) direttore “Corriere Cesenate” (Cesena-Sarsina)