Il futuro presente/4
Hiroshi Ishiguro è lo scienziato giapponese creatore di Geminoid, un umanoide che è l’esatta copia di se stesso. Dice di costruire androidi per comprendere meglio gli umani e di immaginare in futuro una società simbiotica umani-robot. Lo abbiamo incontrato in Vaticano, a margine di un convegno.
Direttore del laboratorio di intelligenza artificiale dell’università di Osaka, studia da anni la robotica. Nel 2007 il Daily Telegraph lo ha classificato al 26° posto tra i 100 maggiori geni viventi. Lo scienziato giapponese Hiroshi Ishiguro è il “papà” di Geminoid, un umanoide che è l’esatta copia di se stesso: corpo in schiuma di uretano, pelle in silicone, capelli suoi, stessi abiti. In pratica un sosia. Ad oggi ne ha creati cinque, ma sono diversi i robot umanoidi usciti dal suo laboratorio. Ieri pomeriggio ha partecipato alla prima sessione del workshop “Robo Ethics. Humans, machines and health” in corso fino a questa sera in Vaticano (Aula nuova del Sinodo) per iniziativa della Pontificia Accademia per la Vita che lo ha promosso nell’ambito della sua Assemblea generale 2019 (25 – 27 febbraio). Lo abbiamo incontrato.
Quando ha creato Geminoid?
Nel 2007 ma i miei primi progetti risalgono al 2000. La mia idea di futuro è una società simbiotica umani-robot. Per questo ho cominciato con una serie di robot semplici, poi più interattivi, infine umanoidi.
Perché lo ha realizzato? Per avere un’estensione di sé?
Per due ragioni. Anzitutto ho pensato che con una copia di me stesso non sarei più stato costretto ad andare continuamente in giro a conferenze e riunioni perché avrei potuto mandare la mia copia.
E’una battuta?
No, ero molto occupato e in questo modo il robot, controllato da remoto con un microfono e una telecamera, poteva parlare al posto mio. Ma c’è anche una ragione più scientifica:
attraverso gli androidi possiamo capire la differenza tra umani e robot e comprendere meglio noi stessi e la nostra natura
Come ha reagito la gente di fronte a Geminoid?
Con curiosità e interesse.
Che cosa si aspetta dalla sua ricerca sull’interazione umano-robot?
La robot-interaction non l’ho iniziata io, ci sono stati studi in America e in Europa. E’ un tema molto interessante che va approfondito.
Affascinante ma anche un po’ inquietante avere qualcuno/qualcosa accanto a me che mi assomiglia perfettamente ma non è me…
Perché? Lei avrebbe paura di una sorella gemella?
Ma questa sarebbe una persona, il robot no.
Se lei passasse un giorno nel nostro laboratorio si renderebbe conto di non avere nulla da temere, che non c’è nulla di inquietante, si abituerebbe subito.
Pensa che questo mio disagio dipenda da una questione culturale?
Forse, ma non ne sono certo. Penso piuttosto a un fattore educativo. Le reazioni dei bambini sono uguali in tutto il mondo; la differenza la fa poi l’educazione che ricevono e penso che l’educazione impartita alla popolazione europea sia molto diversa da quella di noi giapponesi.
Abbiamo bisogno di robot umanoidi? Che cosa aggiungono all’utilità e all’efficienza di un robot “classico”?
Il cervello umano è fatto per conoscere e interagire con altri umani, per questo è importante che l’aspetto dei robot sia il più possibile simile all’uomo.
Quali sono costi e applicazioni pratiche?
Non si tratta di un prodotto commerciale, ma ancora di un prototipo. Stiamo spendendo molto ma se iniziassimo a produrne migliaia e migliaia allora il costo si abbatterebbe e si avvicinerebbe a quello di un’automobile.
Questi androidi saranno un giorno capaci di provare emozioni?
Dipende da ciò che intendiamo per emozioni. In realtà non sappiamo ancora esattamente che cosa sono le emozioni umane, ci manca una definizione esatta. Non so rispondere a questa domanda. Quello che posso dire è che è un androide può mimare un’emozione semplice come il dolore ma non sappiamo ancora nulla per quello che riguarda emozioni più profonde. Forse – sorride – sarà possibile tra un centinaio d’anni.
Non teme che in futuro l’intelligenza artificiale possa avere il sopravvento su quella umana?
Nooo! Lei – indica il mio smartphone posato sul tavolo – sta usando il suo telefono mobile che è un cervello. Lei pone continuamente domande a Google che è a tutti gli effetti una AI, ma non ha paura, dunque… Non c’è motivo di averne (sorride).
Abbiamo bisogno di una robo-etica?
Sì, come abbiamo bisogno di un’etica per gli umani, ma quella dei robot secondo me è più semplice perché loro sono meno complessi di noi.
Lei ha recentemente collaborato con una società giapponese per la realizzazione di “preti robot” buddisti. È immaginabile un prete robot cattolico?
Al momento non è un obiettivo della nostra ricerca.
Come mai partecipa a questo incontro in Vaticano?
Sono stato invitato e poi in Italia vengo sempre volentieri. Quando la Honda ha iniziato a sviluppare il suo progetto di Asimo, ha chiesto l’opinione del Vaticano sull’opportunità di realizzare un robot umanoide. E il Vaticano ha risposto: ‘Perché no?’.
Anche a me interessa il parere della Chiesa sullo sviluppo e sul futuro della robotica.