Politica
Comunque finisca la questione Tav, siamo in presenza di una brutta prospettiva per il nostro Paese che vede peggiorare le cose giorno dopo giorno e che presenta tutti gli indicatori negativi: l’economia non cresce, gli imprenditori non investono, i consumi diminuiscono, la produzione rallenta e la disoccupazione è destinata a aumentare
Le divergenze sulle varie questioni nazionali – il Tav su tutte – rendono sempre più incerte le sorti di questo governo. L’ennesimo incontro su questa importante opera, considerata uno dei nervi scoperti della coalizione, potrebbe scrivere la parola fine alla collaborazione fra la Lega e i Cinquestelle. Ad aggravare la situazione hanno contribuito le continue prove elettorali che da qualche mese si tengono nelle varie Regioni d’Italia e che si stanno trasformando in ulteriore motivo per rallentare o bloccare l’attività governativa. Il trend è iniziato con le elezioni in Abruzzo – 10 febbraio – è continuato con quelle in Sardegna – 24 febbraio – proseguirà con quelle che si terranno domenica 24 marzo in Basilicata, fino a quelle in Piemonte, che si terranno, insieme alle europee, il prossimo 26 maggio. In vista di tante prove elettorali, i leader dei due partiti di maggioranza – Lega e Cinquestelle – ritengono pericoloso esporsi. Perché mettere in evidenza i tanti contrasti fra loro,con il pericolo di creare una crisi di governo, o prendere decisioni che scontentano i loro elettori? Meglio rinviare, pensano, ogni decisione a dopo le elezioni visto anche il vento favorevole che, nonostante tutto, soffia sul governo in generale e sulla Lega in particolare. Con poco sforzo, il massimo risultato! Finché è possibile, meglio tirare a campare! Comunque finisca la questione Tav, siamo in presenza di una brutta prospettiva per il nostro Paese che vede peggiorare le cose giorno dopo giorno e che presenta tutti gli indicatori negativi: l’economia non cresce, gli imprenditori non investono, i consumi diminuiscono, la produzione rallenta e la disoccupazione è destinata a aumentare. Di fronte a un’economia ferma, quasi in recessione, che sta avviandosi, cioè, verso il blocco della crescita e dello sviluppo del Paese, l’azione del governo non può limitarsi a proporre ogni giorno soltanto “quota cento e reddito di cittadinanza”, rinviando all’infinito ogni altra misura volta a mettere in moto l’economia. La parola d’ordine è un No a ogni proposta. No alla Tav (il collegamento ferroviario Italia-Francia), No alla Tap (il gasdotto che dalla Turchia porta il gas naturale in Italia), No alle trivelle per l’estrazione degli idrocarburi, No a tutta una serie di grandi opere e infrastrutture che, se attuate, potrebbero ammodernare il Paese e rimettere in moto l’economia. I giudizi negativi nei confronti dell’azione del governo si sprecano. Tutti gli organismi italiani (Istat) ed esteri emettono bollettini che esprimono preoccupazione per le sorti future della nostra economia, mentre gli imprenditori lanciano grida di aiuto al governo e, cosa gravissima, minacciano di scendere in sciopero alla stessa maniera dei loro lavoratori. Perfino il ministro dell’Economia del governo, Giovanni Tria, mostra il suo disappunto per i continui rinvii. “Il problema non è la Tav – ha dichiarato qualche giorno fa – il problema è che nessuno verrà mai a investire in Italia se il Paese mostra un governo che cambia, non sta ai patti, cambia i contratti e le leggi”. Di fronte a questi allarmi il presidente del Consiglio Conte continua a prendere tempo e a diffondere ottimismo, mentre Di Maio, noncurante delle sconfitte elettorali, dichiara che “il M5S è vivo e vegeto e va avanti”. E intanto, corre ai ripari proponendo una riorganizzazione del movimento che riveda, perfino, talune regole fondanti: il divieto di superare i due mandati e quello di fare alleanze con altre forze. Chi si frega le mani, al contrario, è Salvini. Scongiurato, a spese dei grillini, il pericolo di andare a giudizio per il sequestro dei migranti della nave Diciotti, raccoglie successi a basso prezzo, facendo la voce grossa con gli immigrati. Vero che le elezioni regionali, come si consola Di Maio, sono considerate competizioni locali, ma è anche vero che gli elettori, mentre guardano ai candidati e ai programmi regionali, non tralasciano di valutare i risultati delle politiche centrali. E di risultati, dopo nove mesi di governo, se ne vedono pochi. A meno che non si vogliano considerare come conquiste il decreto sicurezza che sta rendendo invivibile la vita di tanti immigrati o la proposta di legge che vuole facilitare l’utilizzo delle armi in caso di legittima difesa. È un prezzo troppo elevato che l’Italia e le famiglie, in particolare, non possono pagare.
(*) direttore de “La Vita diocesana” (Noto)