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La nave di Mediterranea di nuovo in mare. Salperà sabato dal porto di Palermo per testimoniare le violazioni dei diritti

“Siamo contenti di tornare nel Mediterraneo perché il mare non può essere, oltre che un cimitero, anche un deserto”. A parlare al Sir è Alessandra Sciurba, del board di Mediterranea saving humans, l’iniziativa della società civile che partirà domani con la nave Mare Jonio e la nave di appoggio dal porto di Palermo: “Abbiamo l’urgenza di testimoniare se ci sono violazioni e andare a portare un po’ di rispetto della dignità umana nel Mediterraneo”. Chiedono a Italia e Europa “l’apertura di canali legali” e “canali d’urgenza dalla Libia”

Autore: Michelle Seixas

Partirà sabato mattina dal porto di Palermo, con una bandiera tutta nuova donata dal sindaco Leoluca Orlando, la nuova missione di Mediterranea, la nave finanziata da un imponente crowdfunding della società civile per testimoniare le violazioni dei diritti umani nel Mediterraneo. Fino ad oggi sono stati raccolti oltre 580.000 euro, con donazioni di singoli cittadini, associazioni, scuole, dal Nord al Sud Italia e in altri Paesi europei. La donazione più cospicua è stata di 10.000 euro ma in maggioranza si tratta di piccoli donatori che offrono in media 70 euro. E quando sono offerte più consistenti spesso la causale è “la parrocchia”, “l’incontro culturale”, eccetera. “Andrebbe scritto un libro sulle casuali delle donazioni perché ricostruiscono una mappa della bellezza dell’Italia. Mediterranea è una nave ma è anche una metafora”, confida al Sir Alessandra Sciurba, palermitana, del board di Mediterranea. Così sabato mattina, e per 18 giorni (15 giorni più 3 di sosta, salvo imprevisti) saliranno sulla nave Mare Jonio e sulla nave di appoggio un equipaggio di professionisti, il team rescue per eventuali soccorsi, alcuni legali e giornalisti. Intanto chi è rimasto a terra sta preparando per il 6 e 7 aprile prossimo una grande assemblea al Macro di Roma per ringraziare tutte le persone che hanno sostenuto il progetto e programmare insieme il futuro di Mediterranea: “Siamo contenti di tornare nel Mediterraneo perché il mare non può essere, oltre che un cimitero, anche un deserto. Le navi della società civile sono le uniche a rispettare la legalità”.

Pronti a partire? Come vi sentite?
Abbiamo superato le ispezioni e siamo molto contenti. Dovevamo partire mercoledì ma per condizioni meteo avverse partiamo sabato mattina verso il Mediterraneo centrale, la nostra prima tappa sarà verso Zarzis, in Tunisia. Ora in mare non c’è nessuno. La nave di Open Arms è ancora ferma a Barcellona e sta negoziando disperatamente con il governo spagnolo. Sea Watch dovrebbe riuscire a ripartire a metà marzo, le altre Ong sono in difficoltà da molto tempo.

Qual è l’obiettivo di questa missione?
Il nostro obiettivo è sempre il monitoraggio e la denuncia delle violazioni dei diritti umani, senza mai sottrarci all’obbligo di salvataggio.

Noi soccorreremo se si presentasse la necessità e ovviamente rivolgeremo la nostra prua all’Europa e mai alla Libia.

Chiaramente il livello di tensione si è alzato perché la guardia costiera libica oramai cattura la maggior parte delle persone che riescono a fuggire dai centri di detenzione, quindi il ruolo delle navi della società civile è anche quello di denunciare questa prassi in violazione delle norme internazionali e dei principi di umanità e diritti umani. E quando una nave della società civile riesce ad intervenire prima della guardia costiera libica significa che si sta compiendo

una azione di sottrazione ai trafficanti di esseri umani.

Perché sappiamo che la cattura – perché di questo si tratta e non di soccorso – significa rimettere nelle mani dei trafficanti persone che erano appena fuggite da quelle mani. Si è creato un sistema finanziato dall’Italia e appoggiato dall’Europa per cui la stessa donna, bambino o ragazzo possono essere vittime di tratta infinite volte cercando di scappare dalla Libia. Il paradosso è che gli attori criminalizzati dai governi sono le navi della società civile, le uniche che si stanno veramente ponendo il problema di come combattere questo traffico di esseri umani.

Dopo la dura azione di criminalizzazione delle Ong con che spirito tornate in mare? Cosa vi aspettate?
Noi faremo quello che abbiamo sempre fatto perché agiamo nella totale legalità. Ripetiamo che

le navi della società civile sono le uniche a rispettare la legalità.

Sarebbe bello che il governo italiano, invece di criminalizzarle le prendesse a modello. Perché nessuna inchiesta è rimasta in piedi. Ogni volta che una nave della società civile si trova a soccorrere persone sta soltanto obbedendo al diritto. Non abbiamo incognite rispetto al nostro comportamento perché è normato, è dentro una cornice di legge: il diritto del mare, le Convenzioni internazionali dei diritti umani e la nostra Costituzione. Per noi non ci sono incognite. Le nostre linee guida non sono strategie ma il rispetto del diritto. Purtroppo sono i comportamenti dei governi ad essere differenti ma noi non possiamo porci questo problema.

Abbiamo l’urgenza di testimoniare se ci sono violazioni e andare a portare un po’ di rispetto della dignità umana nel Mediterraneo.

E vorremmo farlo insieme alle altri navi delle Ong nostre sorelle che in questo momento non possono farlo. Ma ci auguriamo che a breve questo mare si riempia di navi per chi fugge dalla Libia e che un giorno non ce ne sia più bisogno perché vorrà dire che le persone saranno evacuate dai centri libici e portate in salvo.

Cosa chiedete all’Italia e all’Europa?
Stiamo tornando per l’ennesima volta dove non vorremmo essere: quello che noi chiediamo di nuovo all’Italia e all’Europa è l’apertura di canali d’ingresso legali, unico modo per sottrarre le persone all’attraversamento del Mediterraneo e ai trafficanti. In questo momento bisogna

aprire canali d’urgenza dalla Libia, le immagini che ci arrivano sono orribili.

Dal 2012 non ci sono più canali d’ingresso legali verso l’Europa: è una follia! Questo obbliga le persone a pagare i trafficanti e rischiare la vita. È inutile continuare a dire che i trafficanti sono gli unici colpevoli quando i migliori alleati sono i governi che chiudono le frontiere e fanno gli accordi con Paesi come la Turchia e la Libia.