Politica & società
Maracaibo è la città che più di ogni altra sta soffrendo per i blackout che hanno flagellato il Venezuela durante il mese di marzo: prima 5 lunghissimi giorni, durante i quali è successo di tutto. Una situazione che si è replicata nell’ultima settimana. La testimonianze dell’arcivescovo José Luis Azuaje, del giornalista e scrittore Valmore Muñoz Arteaga e del rettore dell’Università Cattolica padre Eduardo Ortigoza
Il dramma venezuelano ha una città simbolo: è Maracaibo, il secondo centro del Paese, carico di storia, teatro delle imprese del salgariano Corsaro Nero contro il perfido tiranno Wan Gund. “La situazione della nostra città non si può descrivere”, ci dice con emozione tra un’interruzione di corrente e l’altra Valmore Muñoz Arteaga, scrittore e giornalista. “Tutto è paralizzato”, conferma il rettore dell’Università Cattolica Cecilio Acosta, padre Eduardo Ortigoza. Maracaibo è, infatti, la città che più di ogni altra sta soffrendo per i blackout che hanno flagellato il Venezuela durante il mese di marzo: prima 5 lunghissimi giorni, durante i quali è successo di tutto: saccheggi in 500 esercizi commerciali, impossibilità di curare i malati negli ospedali, con conseguenti decessi, mancanza d’acqua, cibo e carburante, uffici e scuole chiuse. Una situazione che si è replicata nell’ultima settimana, trascorsa prevalentemente al buio. Solo che stavolta non c’era più niente da saccheggiare.
Blackout e saccheggi. È una contraddizione: la città più colpita dalla mancanza di corrente naviga in pratica sul petrolio e possiede i maggiori giacimenti del Paese. Maracaibo, però, ha un alto fabbisogno energetico, che deriva dal suo essere uno dei centri più caldi e umidi dell’America Latina, essendo situato tra il Mar dei Caraibi e una laguna. Drammatiche le testimonianze raccolte direttamente dal Sir, a cominciare da quella dell’arcivescovo, mons. José Luis Azuaje, che è anche presidente della Conferenza episcopale venezuelana e della Caritas latinoamericana. Proprio in questa veste, è in questi giorni in Austria, a un convegno internazionale, ma fino a pochi giorni fa ha condiviso con la sua popolazione l’attuale inferno. “Che Maracaibo sia la città che soffre maggiormente per la crisi energetica non è una novità – spiega mons. Azuaje -. I primi cinque giorni consecutivi di blackout hanno provocato la mancanza d’acqua, il deterioramento degli alimenti deperibili, il mancato funzionamento del trasporto pubblico per la mancanza di benzina e varie vittime negli ospedali, poiché gli impianti elettrici ausiliari non hanno funzionato”.
“Un fatto che ha suscitato molta preoccupazione è stato il saccheggio sistematico nei negozi di tutto ciò che veniva esposto. Così, i piccoli commercianti, che con fatica erano riusciti ad aprire la loro piccola attività, stanno andando in rovina. Dopo questa esperienza traumatica, la luce andava e veniva in modo irregolare, fino a questo secondo blackout, a causa del quale la città si è paralizzata e in particolare le istituzioni e le attività produttive. Viviamo realmente in una situazione di calamità”.
Popolazione scoraggiata. Le conseguenze sulle persone sono devastanti: “Stanchezza e squilibrio psichico. Non si sa mai quando arriverà la luce e quando la toglieranno. Le persone si scoraggiano perché non funziona nulla. Il Governo ha approfittato di queste mancanze di energia come fattore per disarmare la popolazione, oltre che per mantenerle occupate a cercare cibo e medicine”. Però,
“il popolo non perde la speranza che ci possa essere un cambiamento politico”.
La Chiesa è naturalmente immersa in questa situazione: “Tutti i parroci hanno sofferto, le nostre parrocchie non hanno impianti elettrici ausiliari. La Curia, l’Università Cattolica, le 41 scuole gestite dall’arcidiocesi non hanno potuto restare aperte. Si sono bloccati i telefoni e internet non funzionava. La Chiesa ha continuato a prestare servizio per quello che era possibile”.
Chi se ne approfitta e chi aiuta. Lo scrittore Valmore Muñoz Arteaga, già docente all’Università Cattolica e ora al Collegio tedesco, ma anche volontario Caritas, spiega: “Non solo siamo alle prese con la cattiva condotta del Governo nazionale e dello stesso Governo regionale, ma anche con molti marachicos, i nostri concittadini, che se ne stanno approfittando. Qui per esempio non si trova il bolívar, la nostra moneta, ogni transazione si fa con carta di credito in dollari, per chi li ha. Durante il blackout non è stato possibile, e ora il valore del dollaro è tassato da chi vende. Il dollaro valeva 3.500 bolívares, ora vale ne 1.800, è una cosa perversa, in pratica i prezzi sono raddoppiati in pochi giorni. In questa Quaresima stiamo vivendo un vero e proprio calvario. Ma ci sono anche tante persone che si danno da fare, prestano le loro batterie supplementari perché la gente ricarichi il telefono, regala acqua, ghiaccio, sono pochi e al tempo stesso molti. Sono quelli che ci fanno andare restare in piedi perché, come dicono i nostri fratelli ebrei, basta che ci sia solo l’aiuto di un uomo giusto perché il mondo valga la pena di esistere. Ogni volto che incontriamo è il volto di Cristo, questo è ciò che cambia la prospettiva del nostro agire”.
Ma i problemi sono enormi, per esempio “l’istruzione di base è perduta, solo in marzo abbiamo avuto cinque giorni di scuola caratterizzati comunque da molte interruzioni della corrente. E questo si unisce al terribile esodo di insegnanti, di docenti, ma anche di studenti universitari. I nostri sono ormai atenei fantasma”.
L’impegno della Chiesa. Dell’Università parla anche il rettore dell’Università Cattolica Cecilio Acosta, padre Eduardo Ortigoza: “L’Università Cecilio Acosta è moderna e con servizi d’avanguardia, ma in questo mento è chiusa, senza studenti priva di corrente e di internet. Lunedì 1° aprile speriamo di riaprirla. In marzo si è lavorato per sette giorni: gli uffici, le scuole, le università, le imprese, è una cosa impossibile”.
Prosegue il religioso: “Dicono che sono sabotaggi al Governo, ma sappiamo benissimo che non è così, mancano manutenzione e risorse, da almeno dieci anni”. La Chiesa “sta operando attraverso la Caritas. Manteniamo anche qui le ollas comunitarias. Ci sono 5 piccoli centri di salute, ambulatori, e la rete educativa di 41 scuole arcidiocesane che dipendono dall’arcidiocesi e dalla rete Fe y Alegría dei gesuiti. Attraverso si esse si cerca di aiutare le famiglie”.