Mezzogiorno e sviluppo
C’è un Mezzogiorno che seppur ricco di risorse naturali, di territori sani e di laureati qualificati, non può ancora esprimersi completamente perché frenato dalla mancanza di strutture e infrastrutture. Resta da chiedersi quanto ancora i nostri territori saranno in grado di subire questo gap, questo solco tracciato nell’ambito dello stesso Paese. Ad invertire la rotta non è bastato nemmeno il lancio rappresentato dal 2019, anno in cui Matera è Capitale europea della Cultura; i disagi restano ancora molto evidenti e la programmazione supera l’anno in corso ma, in generale, non rappresenta ancora la garanzia necessaria
Il mercato del lavoro che in Italia non registra segnali positivi ormai da decenni costringe il Sud ad una rincorsa mai recuperata. Ancora una volta la storia indica due Italie, diverse e lontane tra loro e questo fenomeno endemico si ripercuote sulla fin troppo nota fuga di cervelli che porta i ragazzi lontani dai propri luoghi d’origine sempre più spesso. L’emigrazione che una volta popolava le aree lombarde, piemontesi e emiliane con forza lavoro e manovalanza provenienti dal Mezzogiorno d’Italia, modifica oggi solo le fasce sociali di provenienza (prevalentemente laureati e professionalizzati), ma non lo spirito con cui si cerca fortuna in un luogo diverso da quello in cui si è cresciuti. Parte di questo movimento si deve anche ad una politica che non ha saputo programmare né guardare avanti dotando in tempo utile tutti i territori delle infrastrutture immateriali (vedi collegamenti digitali e strutture di sostegno) lasciando il Sud disconnesso o collegato solo in parte. Il risultato è quello di aree in cui il 5G non è mai approdato e luoghi in cui si cerca di costruire un futuro che non è ancora a portata di mano. L’occupazione, dunque, passa solo attraverso le nuove tecnologie? No, ma non si può negare che il settore che ancora per poco offrirà opportunità occupazionali è quello della generazione 4.0. Di contro settori come l’agricoltura o i servizi alla persona segnano un calo dovuto anche al peso della burocrazia che non si è riusciti ancora a ridurre e che diventa un macigno per i giovani che vogliono intraprendere imprese individuali. C’è, insomma, un Mezzogiorno che seppur ricco di risorse naturali, di territori sani e di laureati qualificati, non può ancora esprimersi completamente perché frenato dalla mancanza di strutture e infrastrutture. Discorso a parte, nel caso della Basilicata e del Materano, merita poi il capitolo dei trasporti che al passo lento già imposto dagli elementi descritti finora, aggiunge quello di collegamento a singhiozzo fra territori nei quali ferrovie e strade sono ancora oggi il Tallone d’Achille più drammatico.
Resta da chiedersi quanto ancora i nostri territori saranno in grado di subire questo gap, questo solco tracciato nell’ambito dello stesso Paese. Ad invertire la rotta non è bastato nemmeno il lancio rappresentato dal 2019, anno in cui Matera è Capitale europea della Cultura; i disagi restano ancora molto evidenti e la programmazione supera l’anno in corso ma, in generale, non rappresenta ancora la garanzia necessaria. Mentre ci apprestiamo ad affrontare la seconda consultazione elettorale, quella europea, guardiamo alle nostre città che dell’Europa sentono solo il lontano respiro. Una presenza che da più parti viene messa in dubbio con rigurgiti nazionalisti che stanno invadendo molti Paesi. E allora dobbiamo chiederci, prima di essere europei, siamo ancora italiani?
(*) direttrice “Logos” (Matera-Irsina)