Schiavitù
“La nostra indifferenza diventa complicità con le nuove forme di schiavitù che distruggono la vita e il futuro di tante donne del Sud del mondo, ma anche di tanti consumatori del Nord del mondo. Il danno di questa nuova e terribile forma di schiavitù è enorme. E richiede una forte denuncia e lotta contro la criminalità organizzata. Tutti siamo chiamati a sentirci responsabili di questo grave disagio sociale”. Ne è convinta suor Eugenia Bonetti (Associazione Slaves no more), che analizza il fenomeno della tratta, sull’ultimo numero del mensile “Vita Pastorale” (maggio 2019). Pubblichiamo il testo integrale della sua riflessione.
«Un dottore della legge, volendo giustificarsi, disse a Gesù: “E chi è il mio prossimo?”. Gesù riprese: “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto”» (Lc 10,29-30). Alla domanda del dottore della legge Gesù non dà una risposta teologica ed esauriente, offre bensì una parabola sconcertante e complessa, ma altrettanto chiara e sfidante.
L’unica attenzione di Gesù è per la persona, in qualsiasi situazione si trovi, perché la “persona” è il prossimo da amare e da soccorrere.
Se Gesù avesse voluto attualizzare questa parabola, oggi, forse avrebbe iniziato così: «Una giovane donna viaggiava dalla Nigeria verso l’Italia, passando nel deserto del Sahara e affrontando una lunga sosta in Libia, per poi procedere verso l’Italia su imbarcazioni fatiscenti, costretta a pagare una notevole somma di denaro. Molto presto essa incappò nei trafficanti che la ingannarono, violentarono e derubarono della sua identità, dignità, legalità e libertà, lasciandola mezza morta». Come avrebbe continuato Gesù il suo racconto? Troviamo una chiara analogia tra ciò che Gesù proponeva ai suoi interlocutori, con la parabola del Buon Samaritano, e ciò che avviene oggi, in un nuovo contesto: le strade delle nostre città e paesi, dove le protagoniste sono le sempre più giovani nigeriane. Purtroppo, giunte in Sicilia, dopo aver affrontato i pericoli del deserto e del mare, si trovano a combattere contro la schiavitù e lo sfruttamento del loro corpo.
I recenti dati dell’Oim (Organizzazione internazionale delle migrazioni) ci dicono che in Italia, negli ultimi anni, il numero delle giovanissime nigeriane ha raggiunto quota 15.600.Moltissime sono minorenni, la maggior parte analfabete, facilmente ricattabili. Inoltre, molte di loro sono incinte, dopo essere state violentate durante il viaggio.
Che cosa capita al loro arrivo in Italia? Dove finiscono? Chi le accoglie?
La maggior parte di loro, istruite dai loro trafficanti, maman e papponi, fanno richiesta per diventare rifugiate. E, una volta identificate, vengono soggiogate dai trafficanti e inserite nel giro della prostituzione. Cambiano i volti, i nomi, le circostanze, ma la realtà di violenza sulle donne deboli e indifese è la stessa. Tutti le possono usare, visto che in Italia la prostituzione non è considerata reato, come lo è in diversi Paesi del Nord Europa. Questo problema, che sta distruggendo la vita di tante giovanissime donne straniere e tante famiglie italiane, non è ancora stato preso in considerazione. E tale sfruttamento dilaga nel nostro Paese cosiddetto cristiano.
Che cosa si nasconde dietro questo traffico? La presenza di giovani africane/nigeriane, destinate a rispondere alla richiesta di sesso a pagamento sulle nostre strade, è sintomo di grande povertà sia di risorse per una sussistenza umana dignitosa, sia di educazione e opportunità di lavoro nei Paesi d’origine. Dobbiamo constatare, con vergogna, che ancora oggi esiste una terribile disuguaglianza tra uomo e donna, tra Paesi ricchi e Paesi poveri. Oggi, il volto della povertà, dell’emarginazione, della discriminazione e dello sfruttamento nel mondo, è quello delle donne.
È la donna che, in molti Paesi, deve pensare al sostentamento della famiglia, che soffre a causa della carestia e della scarsità d’acqua, delle guerre e delle lotte tribali; è lei che soffre per la mancanza di medicine e per il contagio di epidemie, che non può frequentare la scuola ed è esclusa da compiti di responsabilità; è lei che spesso è costretta a lasciare la propria Patria per cercare altrove sicurezza e benessere per sé e per la famiglia; è la donna che subisce atti di violenza domestica, in gran parte sessuali, ed è ancora lei che spesso è costretta a vendere il suo corpo – l’unica risorsa che possiede – usato come oggetto di piacere e fonte di guadagno per altri. Ingannate, schiavizzate e gettate sui nostri marciapiedi o in locali notturni, “le prostitute” sono l’ennesimo esempio della ingiusta discriminazione imposta alle donne dalla nostra società.
La tratta di esseri umani è oggi una delle peggiori schiavitù moderne, e riguarda il mondo intero.
Secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) e l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (Unodc), sono oltre 21milioni le persone, spesso povere e vulnerabili, vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale o lavoro forzato, espianto di organi, accattonaggio, adozione illegale, servitù domestica, matrimonio forzato, maternità surrogata o utero in affitto e altre forme di sfruttamento. La tratta di esseri umani rende complessivamente 34 miliardi di dollari l’anno ed è il terzo “business” più redditizio, dopo il traffico di armi e di droga. La maggior parte delle donne ridotte in stato di schiavitù a disposizione di milioni di clienti italiani – 90%cattolici –, provengono da Paesi evangelizzati dai missionari, che con queste popolazioni hanno condiviso fatiche e sofferenze assieme alla fede cristiana, come annuncio di speranza e libertà, dignità e giustizia, solidarietà ed emancipazione.
Grande sfida, questa, per la nostra società, per le nostre famiglie, ma anche perla Chiesa stessa. Quante coppie di sposi e altrettante famiglie sono distrutte da questa realtà, soprattutto quando il cliente si invaghisce di una di queste giovani, con la scusa di toglierla dalla strada e liberarla dai trafficanti, per cadere lui stesso in una terribile trappola di sottomissione e di potere su una persona debole e indifesa.
Come la catena dello schiavo era formata da molti anelli, così è la catena di queste nuove schiave del XXI secolo. Gli anelli hanno dei nomi e sono quelli delle vittime e della loro povertà, degli sfruttatori con i loro ingenti guadagni, dei clienti con le loro frustrazioni, della società con la sua opulenza e carenza di valori, dei governi con i loro sistemi di corruzione e di connivenze, della Chiesa formata da cristiani, noi compresi, con il nostro silenzio e la nostra indifferenza.
Quante volte papa Francesco ha parlato della globalizzazione dell’indifferenza! E la nostra indifferenza diventa complicità con le nuove forme di schiavitù che distruggono la vita e il futuro di tante donne del Sud del mondo, ma anche di tanti consumatori del Nord del mondo. Il danno di questa nuova e terribile forma di schiavitù è enorme. E richiede una forte denuncia e lotta contro la criminalità organizzata. Tutti siamo chiamati a sentirci responsabili di questo grave disagio sociale.
(*) Associazione Slaves no more